domenica 7 dicembre 2008

Una Mattina

Una mattina mi sveglierò già vecchio e senza forze. E non vorrò osservare quell’immagine stanca nello specchio, ma mi siederò a pensare. Guarderò indietro, verso gli anni lontani, e la vertigine del tempo mi farà tremare come un bambino. Luoghi, facce ed avvenimenti passati si accavalleranno l’un l’altro, roteando perduti in chissà quale angolo della realtà. Nel buio lucido di quel mattino mi frugherò le tasche e troverò sempre le stesse domande, le più importanti, ancora senza risposta. In mano stringerò soltanto le verità saltate fuori dall’anima, quando la ragione dormiva. E sorriderò, affacciandomi dalla finestra, alla vista di questo mondo che corre di fretta verso la strada sbagliata, con le sue regole artificiose e milioni di miliardi di muri altissimi e invalicabili, macchine e tecnologia cresciute in maniera disumana, inarrestabile. Mi sporgerò e vedrò una civiltà esasperata ed inconsapevolmente ignorante, che ripudia ancora il suo io primordiale, per rimpiazzare i valori eterni con degli ibridi spaventosi. Quel giorno sentirò un freddo mai provato e cercherò affannosamente il sole. Sposterò lo sguardo all’orizzonte ed il cuore salterà nel petto, quando in questa terra si faranno avanti amore, colori, amicizia, giochi, profumi, fantasia, sogni, canti, ricordi e speranze. Ed aria e cielo tutt’intorno. Un cielo che non vorrà piegarsi all’inquinamento e rimarrà sempre meraviglioso, su di noi. E mi chiederò cosa ci sia davvero oltre quell’azzurro, se qualcuno o qualcosa dall’altra parte lontana, in quel buio silente macchiato di stelle, abbia capito più cose di noi.
Quella mattina nel futuro, con la serenità di un uomo stanco, penserò a tutto questo e rimarrò da solo nella mia stanza, senza che nessuno possa sentire o commentare. Con la finestra ancora aperta mi adagerò sul divano, chiuderò gli occhi e non li riaprirò mai più. Ed ogni cosa, nella sua totale essenza, rimarrà sempre la stessa, come dovrebbe essere. Troppo breve, troppo lunga, stupenda ed orribile, fonte di gioia immensa e pianto infinito, inesplicabile. Come la vita di ognuno di noi.

venerdì 21 novembre 2008

Senza far troppo rumore

Chiusi dentro il buio nero della notte fissavamo il cielo che si spogliava.
Una dietro l’altra cadevano le stelle dentro il mare, senza far troppo rumore.
Nessuno poteva prenderle o salvarle, neanche noi laggiù. E ci baciavamo senza badarci troppo, senza sapere nulla del domani ci amavamo.
Io ti sentivo dentro e in quell’istante sarei voluto morire. Con te nel cuore mi sarei spento tra quelle acque scure.
Senza far troppo rumore.

venerdì 31 ottobre 2008

Uncle Marco?

Dal mio roboante sbarco in America sono cambiate tante, tantissime cose. Una di queste è che, sposando quella povera vittima di Christina (che credeva di migliorare la sua vita unendosi in matrimonio con un siciliano mentalmente instabile) mi sono automaticamente trasformato nello zio di 3 superbiondissimi nipotini, con dei nomi che, solo per pronunciarli correttamente, mi son dovuto prendere 6 diverse mini-lauree. Tyler, Conner e Cara, dal primissimo giorno del mio arrivo in famiglia, mi hanno sorprendentemente continuato a chiamare “Marco”. Non “zio Marco” o “uncle Marco”,oppure “Marco l’idiota venuto da lontano”. No, per loro sono solo Marco. Perché, presumo, mi considerano al loro livello, o forse perché non credono che i veri zii possano inventare ogni giorno una parola nuova e stravagante per definire la cacca, o che possano essere ossessionati dai videogiochi molto più di loro. A volte, senza preavviso, ci ritroviamo a parlare insieme di cartoni animati e fumetti per ore, a costruire giganteschi robot con i Lego, o a disegnare supereroi, auto futuristiche e mostri ripugnanti. I miei piccoli “nephews”hanno un solo difetto: dal nostro primo incontro non hanno mai smesso di crescere in altezza, e si sviluppano in maniera inumana e pericolosa. Tyler, il più grande, prende 44 di scarpe ed è già quasi più alto di me( qualcuno di voi potrebbe ribattere che anche il Grande Puffo, pure senza gli stivaloni con la zeppa, mi supera di almeno 2 centimetri). Spero almeno che nessuno di loro 3 si permetta mai di picchiarmi per rubarmi la merendina. Ed è per questo che lascio briosce ovunque, sparse per la casa.
Recentemente, dopo anni di quasi totale inattività sulla mia tavola a rotelle, Tyler mi ha arruolato come istruttore/compagno di avventure sullo skateboard. Diciamo che non avrei mai pensato di riprendere così le attività del mio alter-ego salterino, ma è stato un grande onore. E una soddisfazione più grande è stata ricevere, a sorpresa, una copia di un tema che aveva appena consegnato alla maestra. Ve lo trascrivo di seguito, integralmente, senza deturparlo con una traduzione forzata:

Getting a 30 year old “brother”
By Tyler

When my uncle Marco joined the family by marrying my aunt, I was excited. I could tell when I met him that it was going to be fun to have him in our family. At that time I felt that he was just like me, except he is taller. He has traits that all kids have, such as loves video games, seeks adventure, loves pranks, and has a sense of humor. He really is like a brother to me because we do a lot of stuff together. Something I really like about him is that he thinks he can do anything, which is pretty funny. And he actually has proven to me by climbing up walls, performing amazing skateboard tricks, and drawing astounding characters. I am still waiting to see him fly and have popcorn shoot out of his ears, though.
My uncle is also very funny. Whenever he comes over to my house, I always ask him if he has a funny story from his childhood. When he does they are always very interesting. For example, he told me one time he snuck out of the house at night and jumped over an abandoned castle wall and got chased by a horse. Also he makes funny jokes and insults. Whenever I have an insult contest with him, I lose.
Lastly, my uncle Marco is a helpful and supportive man. He helps me learn stuff like how to do a trick on the skateboard. Also if I’m stuck on a level in a video game, he finds a way to help. He is supportive because he helps me when I do something for the first time in sports or games. He tells me what I did wrong and tells me how to improve it. Without a doubt, my uncle joining the family has been a positive impact on my life.

venerdì 3 ottobre 2008

Aldo e Maria

Aldo e Maria camminano tenendosi per mano, con gli occhi sereni guardano avanti. Il pomeriggio, dopo il lavoro, passeggiano allegri come fosse la prima volta, quando erano ragazzini e già si volevano bene. Passo su passo osservano quel mondo che ogni sera non è mai lo stesso. Onda su onda assorbono quel mare che, da dietro la banchina, li vuole cullare.E parlano, si confidano, si preoccupano, si sorridono. Sempre insieme. Insieme come se non ci fosse un altro modo di percorrere il cammino.A volte Maria, per gioco, salta su un raggio di luna ed Aldo la segue, brontolando un po’. Così, su quella scia di luce e magia tornano a casa che ridono ancora. E stretti nell’abbraccio di quel piccolo nido, vivono uniti gli anni più belli della loro vita.

Aldo e Maria li vedrò sempre lì, per mano, come una statua meravigliosa tra le rovine del deserto, che neanche il vento ed il tempo hanno saputo cancellare. Eterni e sinceri come il sogno dolce di un bimbo che non è cresciuto mai.

lunedì 22 settembre 2008

Da Qualche Parte, Lontano

Sepolto in fondo al mare c’è il mio cuore.
Immobile, dimenticato. Coperto per l’eternità.
E intanto lassù non cambia nulla, continuano a sbattere le onde messe in fila.
Io me ne sto in giro tutto il giorno con una mano sul petto, che è vuoto. E non so bene dove sono o dove vado ma sorrido, per nulla turbato. Da nulla contrariato.
Nessuno comprende tra quelli che mi guardano per strada, ma nascosto nell’abisso più remoto c’è il mio cuore. Tradito, annoiato, ucciso, schiacciato per sempre riposa.
Se vuoi trovarlo puoi cercare lì, da qualche parte.
Lontano.

domenica 14 settembre 2008

Sicilianità Manifesta

Perchè nessuno si dimentichi, o sottovaluti, chi sono e da dove vengo. Perchè il rumore del motore suoni come un marranzano impazzito. Perchè la gente, al mio passaggio, senta un profumo forte di agrumi. E perchè la polizia, intimorita, mi fermi solo per baciarmi le mani.

Ecco perchè.

giovedì 4 settembre 2008

Vengo da un Mondo Piccino

Vengo da un mondo piccino.
Dove i ragazzi si incontrano al mattino e vanno a scuola a piedi. Dove la nonna, ogni giorno, manda il nipote alla bottega dell’angolo per fare la spesa. Dove la gente raccoglie i fichi d’india che sporgono sulla strada. E dove i vecchi escono dal frigo la bottiglia di vino buono, quella senza etichetta.
Un posto piccolo dove i bambini, nel pomeriggio, giocano in piazza e sui marciapiedi. Dove la domenica il papà arriva a casa con i pasticcini. E fuori dalla finestra senti passare la processione, mentre la gente esce di corsa sui balconi.
Vengo da un luogo dove il tempo non è denaro, ma è la vita che scorre. E per questo non si va di fretta, ma si cammina. Dove conosci tutto e tutti. E dove ci si saluta e ci si mette a parlare.
E’ un microcosmo dove i pescatori guardano al mare come se fosse la loro madre. Dove la mattina presto puoi sentire nell’aria l’odore del pane. E dove se sali in collina scorgi tutto il paese. E vedi tutta la tua vita, per com’è e per come sarà.
Questo mondo, così caro e piccino, io lo porto sempre dentro di me. A volte mi chiama nei sogni, con dolcezza, per ricordarmi chi sono. E mi dice “ Stai tranquillo, Marco, dormi bene. Che tanto ti aspetto e non cambio mai.”

lunedì 25 agosto 2008

Tramonto

Solo il sole
suole solleticare
il salato sospiro del mare.

mercoledì 13 agosto 2008

Una Visione

Strani, scuri volatili macchiano le nuvole stamane.
Starnazzano, strepitano, dall’alto sembrano guardarti con occhi rossi spenti.
"Via !! –grida il vecchio dal parco, puntando contro il cielo un bastone di legno rugoso- Via dalla mia giornata di uomotristefinitosolomalatoesgarbato !!! " E gli uccelli vanno via con lentezza, graffiando l’azzurro sopra di lui solo per dispetto.

venerdì 1 agosto 2008

La Statua di Luigi Rizzo

Luigi Rizzo, del color del bronzo, ascolta i flutti dietro di lui, con attenzione. Le onde si accavallano tra loro per infrangersi sulla banchina, ritmicamente, delicatamente, con uno scrosciare ogni volta diverso. Non ce ne è una uguale all’altra, non è mai successo e lui lo sa. L’azzurro del mare si esprime per vie infinite.
I bambini, questa mattina, girano intorno alla statua sulle loro bici, felici e senza pensieri. E una coppia di ragazzini si bacia lì di fronte, sulla panchina, esplorando l’amore.
Luigi Rizzo sta sempre lassù sul piedistallo ed aspetta l’inverno, e con esso la pioggia. Per sentir di nuovo sul viso le notti di gloria, guerra e tempesta, quando c’erano solo acqua, vento e nemici da ogni parte ed il cuore batteva forte, nelle vene il sangue si incendiava ed il coraggio di un solo uomo cambiava la storia, per sempre. E poi l’Italia, Milazzo, la gente e tutti per strada guardavano a lui con un sorriso fiero, sincero. Il sorriso che si mostra ad un eroe.
Ed “eroe” lo chiama il sindaco, di tanto in tanto, mentre legge con enfasi il suo discorso e la banda suona a perdifiato, sudando nelle divise ben stirate. Un lungo applauso, poi vanno via lasciando una corona di fiori o due. Ed il silenzio tutt’intorno.
Luigi Rizzo sta ancora lì e lascia scorrere il tempo riempiendo le giornate con i ricordi. Spesso, se osservi bene la sua statua, puoi trovarlo assorto nel pensiero della grande mareggiata del 1981. Quando neanche la grigia banchina poté separarlo dalla furia maestosa delle acque, che quel giorno travolsero tutto e l’incontrarono, per dare l’addio. E fu uomo e mare di nuovo insieme. Simbiosi mai dimenticata.
Intanto, come sempre, l’inverno e i suoi acquazzoni si avvicinano ogni giorno di più e Luigi Rizzo, con la meraviglia di un bimbo, contempla le nuvole formarsi pian piano su di lui, in quel cielo sconfinato. Il sole, da lassù in alto, riscalda sempre meno il bronzo del suo busto e la gente, presa da mille cose, sembra svanire via nel nulla. Rimangono solo i ragazzi, abbracciati su quella panchina, che continuano ad amarsi.

martedì 1 luglio 2008

Commenti Ermetici (Cronaca di un Ritorno)

A Roma, di Buon Mattino
Il lungo volo è ormai alle spalle. Risveglio con rosette fresche, burro, sole e marmellata di ciliegie. E cappuccino schiumoso che alimenta il sorriso. L'italia sta tutta qui...come avrei potuto scordarlo?

Visita alle Catacombe
Nel fresco sotterraneo, sbirciando clandestinamente tra i cunicoli, ho cercato invano l'ombra di uno spettro.



Zigzagando per la Capitale
Un giro dalla periferia al centro storico per rendermi conto che, sia nei negozi che per le strade, di italiano se ne sente parlare davvero poco. Molti i lavoratori stranieri nei ristoranti e nei chioschi, e tantissimi i turisti. Inglesi, francesi, tedeschi, ma in maggioranza americani. Ho praticamente usato l'inglese tutto il tempo, a malincuore.


Domenica Mattina: Partenza per la Sicilia
Albergo al quinto piano e ascensore che, come ci hanno appena comunicato, è rotto. Un milione di bagagli trascinati giù per le scale. Breve tragitto verso Roma Termini. Caldo, caldissimo, sole a picco su di noi, afa e ancora caldo. Arriviamo alla stazione cercando un bagno. In quello delle donne qualcosa non funziona e non ci si può accedere, poi scopro che per usufruire dei servizi bisogna pagare 70 centesimi ( e gli unici soldi spiccioli che ho sono americani). Vabbè. Saliamo sul treno e ci accorgiamo che, nonostante ci attenda un viaggio abbastanza lungo, le carrozze sono quelle a scompartimento unico per i viaggi brevi (??!!). E che l'aria condizionata non funziona. Mi fermo qui, per non contaminare la narrazione con varie volgarità da viaggiatore frustrato. E l'odissea continua, verso quel paradiso lontano che è la Sicilia.
Domenica Sera: l'Arrivo
Finalmente a casa. Quella vera. Almeno un giorno per iniziare ad assorbire il fuso orario e smaltire i dolori del calvario ferroviario. Intanto, l'abbraccio della mia famiglia e l'abbandono totale verso la parmigiana ed i cannoli.

lunedì 23 giugno 2008

Nuovo Millennio: L'Attesa

Esseri dagli occhi grandi, che viaggiate tra il tempo e lo spazio,
venite, venite da me e portatemi via.
Portatemi via dove più vi pare, dove più vi serve.
Via da qui.
Da questa terra che non è mia,
da questa gente che non mi vuole,
lontano da quest’aria che non riesco più a respirare.
Venite, venite da me stasera sulla vostra astronave.
La mia casa sono le stelle.

domenica 15 giugno 2008

Rapa Lo Yeti

Cliccate qui: http://shavemyyeti.com/ .
Poi, con malsano sadismo, divertitevi a rasare fino in fondo il pelo del malcapitato yeti.

giovedì 12 giugno 2008

Buon Compleanno, Blog!


Che vergogna: ieri il blog compiva il suo primo anno di vita ed io, roteando all’interno del maledetto vortice lavorativo, non ho neanche avuto il tempo di accendere una misera, scarna, trasandata, superficiale candelina in suo onore.
Stamattina, come di consueto, mi sono preparato il caffellatte, ho acceso il computer, cliccato sul link
www.marcotalotta.blogspot.com, ed il blog mi ha brutalmente sputato in faccia e nella tazza. Mentre mi asciugavo il volto dalla saliva e dicevo addio alla colazione, mi rendevo conto, tra le altre cose, di aver creato il primo efficientissimo, bastardissimo lama digitale. “Marco Talotta’s World” è, indubbiamente, una bestiola strana, senza logica, incostante, pigra, puzzolente ed impulsiva, ma nonostante tutto non mi sento ancora di sopprimerla con violenti colpi di pala e attrezzi vari da giardinaggio, perché in fondo in fondissimo mi sono affezionato alla sua compagnia, anche se sputa. (Pausa riflessiva, tormentata e veramente, veramente sentita.)
E arrivato a questo punto del post, dovrei fare il giovincello gentile e mostrare la mia riconoscenza verso tutti i lettori fedeli o i visitatori casuali disseminati per il globo, che danno poi un senso a tutta questa follia. Ma, dato che l’altro ieri sono stato punto da un minchione radioattivo, mi viene in mente solo di ringraziare delle entità a caso, sparse qua e là in maniera idiota. E così farò. Un grazie, quindi, all’orso Bubu, all’Agnello Pasquale, a Pasquale l’agnello, Carlone il metalmeccanico irascibile, Giangolia il permaloso schiavo delle miniere, la barba del nonno di Remì, la barba-barba di Barbapapà, John l’effeminato amichetto di Solfami, l’ingenuotta farfallina catturata dalla Vispa Teresa, il corpo senza vita di Fernandez, le tecnologiche scarpe da trekking di mio cugino in Trentino, tutte le amiche di collegio di Candy Candy che non sono diventate mai famose, il sosia di Luke Skywalker che lavora alla rosticceria”Gino lo Struscione”, per concludere trionfalmente con gli eroici sopravvissuti al portentoso scorreggio-nuvola di mio fratello Claudio.
Buon compleanno, Marco Talotta’s World!!!

sabato 31 maggio 2008

lunedì 19 maggio 2008

Il Dono

Un milione di stelle nella notte
fanno brillare il mare addormentato.
Venuta da chissà dove, silenziosa,
scivoli tra le acque come fossi in volo.
Sulla riva un dono ha chiamato te da lontano, Teles,
ha interrotto i tuoi giochi coi delfini.
E’ un mazzo di fiori tutto azzurro,
gettato in spiaggia dall’ ultimo ragazzino al mondo che credeva alle sirene.
Il suo ultimo regalo al dorato mondo delle fantasie.
E’ l’alba, e mentre ritorni
stringendo fra le dita il tuo tesoro,
il sole comincia ad illuminare una scia di petali
tra mille bollicine,
salgono a galla leggeri e fanno saltar fuori i pesci.


Sembrano il triste pianto del mare.

Guardi in giù, verso l’abisso che ti accoglie di nuovo
e stavolta, piccola sirena, ti senti più sola.

martedì 13 maggio 2008

Un Gabbiano Qualunque del Cielo

La giovane Teles quel giorno salì a galla per vedere il cielo. Era come il mare ma più vasto, non c’erano pesci e coralli ma nuvole ed uccelli che davano al tutto un aspetto curioso.
Signor gabbiano! -gridò la sirenetta rivolgendosi ad uno dei tanti volatili- Signor gabbiano, presti attenzione!”
Qualche secondo ed un pennuto piuttosto vecchio e malandato le si avvicinò planando lentamente. Teles notò subito che l’uccello non aveva più uno dei suoi occhi, era come se gli fosse stato strappato via.
Per le ali del Grande Celeste, ma cosa sei ?! -esclamò il gabbiano interdetto- Vista dall’alto mi eri parsa una bambina, ma da quel che l’acqua lascia trasparire tu hai ben altro che due gambette rosa !”
Sono una sirena !”rispose la piccola con garbo. E nel frattempo salì a galla anche la sua amichetta, una piccola sardina che non la lasciava mai sola. “Una sirena??…Ma si, una sirena !! Una volta un mio amico me ne ha descritta una. Era l’alba e l’ha vista saltare fuori dalle onde insieme ai delfini … ma vedo che anche tu sei in compagnia!”affermò il volatile standosene sospeso a mezz’aria.
Sicuro ! -replicò Teles mentre il pesciolino le nuotava intorno- Le sirene vivono in armonia con tutte le creature del mare ! E dimmi, Signor gabbiano, ti ho chiamato per sapere se anche tu vuoi essere mio amico!”
Al pennuto scoppiò subito una risata.”Amici ? Per le penne dei Sacri Migratori !! Il cielo ed il mare non hanno niente di che spartire e non ce l’avranno mai ! Queste acque, per me e tutte le altre creature che vedi lassù, sono solo una fonte di nutrimento e nient’altro ! E per di più sono piene fino all’orlo di tranelli e pericoli mortali !! Vedi lo squarcio che ho qui a sinistra al posto dell’occhio? -proseguì il vecchio gabbiano avvicinandosi ai due nuotatori- Questo è il ricordo dell’unica volta che non sono stato diffidente verso il vostro caro oceano. Mi ero addormentato, lasciandomi cullare dalle acque e un amo galleggiante si è portato via metà della mia vista ! Per non parlare di quell’inverno che un’onda quasi non mi sommergeva ! L’anno scorso -continuò sdegnato- mio fratello è stato morso ad un’ala da un grosso pesce ed è morto tra i flutti che adesso vi accarezzano. Io e te apparteniamo a due mondi diversi per natura e non possiamo avere alcun legame…questo è tutto !”
Non è vero, non è vero !! –rispose la sirenetta quasi piangendo- Io conosco perfino chi riesce a convivere tra cielo e mare : i pesci volanti. Pensa ai pesci volanti !”
Quelli ? Quelli sono soltanto degli ibridi che vagano senza pace tra due mondi, come forse lo sei tu che appartieni per metà alla terraferma !” E detto questo il gabbiano, con un rapido scatto, si avventò sulla sardina accanto Teles e la strinse forte con il becco, allontanandosi subito verso l’alto con il pesce che già non si muoveva più.
Da quel giorno la sirenetta non ebbe più voglia di ammirare il cielo e tutte le sue meraviglie. Lo fece solo qualche volta, di notte, per guardare le stelle. Riflettendo sull’ultima frase detta dal gabbiano.

lunedì 28 aprile 2008

Quasi Fosse un'Astronave


Me ne avevano rubata una l’anno scorso. Era nera con le rifiniture color oro. La lasciavo in garage e, per quanto l’amavo, le davo l’arrivederci prima di chiudere il lucchetto sulla catena. Era il mio primo acquisto importante da quando mi ero trasferito negli States, il mio unico mezzo di esplorazione in quel mondo a me sconosciuto. Non avevo ancora la Green Card, né il permesso di lavorare, nessun amico e una scarsa fiducia nel mio inglese: ero praticamente un alieno. Lei costituiva l’unico motivo per alzarmi la mattina e volar fuori col sorriso, nel tentativo di scoprire qualcosa in più del mio nuovo vicinato. Quasi fosse un’astronave.

Poi, un pomeriggio, son sceso in garage con lo zaino in spalla e tanta voglia di avventura.
Ma non ho trovato neanche catena e lucchetto.
Son rimasto incredulo a guardare quello spazio vuoto per qualche minuto, poi mia moglie mi ha dato una scossa e mi ha portato dentro casa, mentre ancora farneticavo parole senza senso. Pensavo fosse un segno del destino, credevo il significato fosse più che chiaro: Marco, povero piccolo idiota venuto da tanto lontano, questo non è e non sarà mai il tuo posto. Torna a casa, e tornaci a piedi. Punto e vaffanculo. Decisi che non avrei mai più comprato una bici in vita mia. Così feci passare un anno e, non lo nascondo, le cose in generale non furono per niente facili, ma con mia sorpresa migliorarono. Poi migliorarono ancora ed ancora. Feci l’esperienza del college, trovai un lavoro, poi un altro ancora più vantaggioso, mentre la gente in giro cominciava a riconoscermi, salutarmi, telefonarmi. A dare un calcio alle crisi d’identità e agli shock culturali, finalmente arrivarono gli amici, le feste e le follie. E qualcosa cominciò a formicolarmi in testa, anche se non ne ero ancora propriamente convinto. Arrivò la Primavera del 2008 e con essa il bel tempo e la voglia di stare fuori all’aria aperta, il desiderio di volare ancora. Così, quasi per caso, la trovai nello stesso negozio dove avevo comprato la prima e decisi di portarla a casa con me.
Il nome del modello è “Cobra GT”, in onore della vecchia Ford Cobra. Io la chiamo “libertà”. Adesso ci volo in giro per la mia città, i miei boschi e i miei sentieri, senza nessun limite o confine. Quasi fosse un’astronave.

lunedì 14 aprile 2008

"L'Appuntamento". Testo : Marco Talotta - Illustrazioni : Tip Thongtavee

Colazione con cereali e qualcosa che mi fissa da dietro le tende. E’ uno di quelli rossi. Quelli che nelle mani hanno un dito solo, un solo indice corto e pulsante. Lo aprono e chiudono in continuazione, nervosamente. Non so cos’è che li rende più tozzi degli altri, forse quel collo così grosso e gonfio. Hanno un modo lento e penoso di respirare, quelli rossi, non so spiegarmi perché. Adesso si avvicina goffamente, a scatti, striscia sotto il tavolo e si ferma qui ai miei piedi. Oggi sembra sudare più del solito.
Questo latte sta quasi diventando acido, mi brucia sulla lingua. Non è un bel modo per iniziare la giornata. Se avessi un lavoro, oggi non ci andrei.
La creatura non mi lascia sola neanche mentre faccio la doccia, si è nascosta nel cesto della biancheria e crede che io non lo sappia. Il getto d’acqua è così forte e piacevole su di me che per un attimo sorrido.
Ne stanno arrivando altri, più piccoli e incredibilmente agili. Non sono rossi. Uno di loro sembra incuriosito dal mio spazzolino da denti e ne mordicchia le setole. Forse ha trovato frescura in qualche residuo di dentifricio. Sono felice che non stiano ancora litigando tra loro. Quando lo fanno, le ombre sul muro si incontrano e scontrano rendendo scura ogni stanza della casa. Prendo l’accappatoio e loro cominciano a scappare, solo quello rosso resta immobile e continua a spiarmi.
Paul ha deciso che oggi possiamo riprovarci. Penso di essergli mancata molto in questi due mesi. Mi piace Paul, mi piace davvero. Le sue braccia sono grandi, forti, quando mi stringe quasi non respiro più.
Inizio a truccarmi e dentro lo specchio si muove qualcosa, è come un volto rugoso ma senza sguardo.
Ancora un po’ di rossetto e sarò la più bella di tutte, oggi.
Dei rumori in cucina fanno vibrare un po’ le pareti, qualcosa sta sbattendo sui muri le pentole e tutto quello che trova. Sembra opera di un essere forte, pesante, il suo grido è rabbioso e violento, come se uscisse dal fondo di un pozzo.
Non ho più molto tempo per prepararmi, è quasi l’ora dell’appuntamento. In camera da letto l’armadio è stato morso più volte, nel suo interno solo un abito è rimasto intatto. Metto quello.
Una tra le entità presenti nell’ingresso mi apre la porta, sussurrandomi nell’orecchio assurde minacce. Le sue risate suonano come dei grugniti ascoltati al contrario sopra un nastro. Dice che presto perderà il controllo e mi ucciderà senza alcun rimorso, senza alcuna pena.
La macchina si accende al primo colpo, credo che oggi sia proprio il mio giorno. Sul sedile alla mia destra c’è un’oscena figura senza pelle. E’ molto triste e non fa che piangere e tossire, creando un curioso effetto sonoro nell’abitacolo.
Giro la prima a sinistra e non posso fare a meno di notare le viscere ingarbugliate del suo corpo trasparente. Credo che dei vermi si stiano cibando dei polmoni e gli diano molta noia.
Ecco il cinema, sono anche un po’ in anticipo. Faccio un giro per cercare parcheggio e qualcosa ferma il traffico. Qualcuno ha investito un bambino, vicino al marciapiede. Angeli e demoni lo ghermiscono terribilmente proprio mentre la madre perde i sensi. Una scena orribile.
Scendendo dalla macchina ho quasi rotto un tacco, comincio a innervosirmi sul serio. Sono le mie scarpe migliori e adesso hanno un graffio, un’enorme incisione che non potrò mai far riparare.
Davanti al negozio di fiori una sagoma continua a mutare forma arrampicandosi sul lampione, come per gioco.
Mi guarda in faccia e comincia a tremare, ansimare. I suoi occhi sono sempre più grossi, le vene si gonfiano perdendo gocce di un sangue nero, formano a terra densi laghetti, dei rigagnoli fetidi che un gattino in tutta fretta inizia a leccare. Tutte le rose gialle del negozio appassiscono, anche qualche orchidea. Dietro quel vetro svogliatamente lucidato i petali cadono e si contorcono senza fine. E una vecchia signora dalla voce stanca, arrivata dal fondo della strada, mi dice qualcosa, una confidenza che la riempie di buon umore. Che la fa ridere a occhi chiusi come una ragazzina.
Dice che Paul non esiste e che non c’è mai stato, che è una mia folle, disperata invenzione.

Aspetto lì vicino al lampione per un’ora.

Due.

Paul……Paul non arriva. Vado via e finalmente le strade sono libere.
Sotto il sedile dell’auto, lentamente, con affanno, qualcosa respira. E’ uno di quelli rossi.


lunedì 24 marzo 2008

Nonno Aldo

Ricordo lontano di mio nonno. Seduto, stampella poggiata al muro, in un angolino del suo microcosmo. Odore intenso del dopobarba azzurro che teneva nell’armadietto, insieme alle altre piccole cose importanti.
Giornate passate a leggere, sfogliare e rileggere la rivista “Oggi”, la più bella di tutte, o a strillare a qualcuno di rispondere a quel telefono che non smetteva di squillare. E ad aspettare figli e nipoti per offrir loro le gazzose alla sera, e sentirli finalmente tutti intorno a lui.
Mattine trascorse in silenzio a guardare la gente, là fuori, passare senza fine. A fumare una delle MS nel pacchetto e poi a soffiarsi il naso nel fazzoletto uscito dal taschino. Mani poggiate su quella gamba che non si era mai del tutto aggiustata, fin dai tempi in cui era carabiniere.
Pomeriggi immersi tra abitudini e pensieri. Appuntamento in TV con Raffaella, Corrado e Pippo Baudo, amici cari e leali.
Nonno vestito a nuovo il giovedì, per portarci al mercato come fosse una festa. Adagiato sotto il tetto di quel magazzino, ci aspettava e parlava con l’uomo che vendeva la frutta. E fumava, fumava, guardava ed aspettava ancora.
Memoria affettuosa di mio nonno Rocco Romualdo, maresciallo in pensione che tutti chiamavano Aldo. Gridava arrabbiato: “Porco diavolo!” e si sporgeva dalla sedia fin quasi a cadere. Sentiva il rombo assordante di un motociclista, in strada, e gli urlava a pieni polmoni: “Disgraziato!!”. O, appoggiato al muretto del suo cortile, ogni tanto lanciava in terra la sua stampella e così si sfogava. Mentre i nipotini scappavano via, promettendo di non dondolarsi più su quel cancelletto arrugginito, che per loro era un luna-park.

Pensiero triste di un giorno dopo la scuola, quando passavo davanti a quel cortile e lui mi ha chiamato, a gran voce, per dirmi qualcosa. Ed io, di fretta, gli ho fatto un cenno con la mano e non mi sono fermato.
E poi quel vecchio, quell’uomo forte che mi guardava con orgoglio perché ero il suo nipote maschio, non l’ho visto più.

mercoledì 5 marzo 2008

Il Tuffo del Gigante

Quella mattina, il Gigante di Zucchero salutò distrattamente il Gigante di Marmellata.
Era troppo impegnato ad incollare tutte le caramelle che aveva trovato nella dispensa, per costruire l’automobile più appiccicosa che si fosse mai vista in giro.
" Mi porterà verso il mare!" pensava tra sé, e continuava il suo lavoro immerso nei pensieri.
Il Gigante di Zucchero aveva ascoltato spesso i ragazzini parlare tra loro dei tuffi tra le onde del mare. Ed ogni volta aveva provato una grande curiosità riguardo a quella immensa distesa, così fresca ed azzurra, che loro descrivevano entusiasti. Negli occhi di quei piccini brillava la luce viva di un sentimento che lui non conosceva: la felicità.
E così aveva sacrificato tutte le provviste per
l’Inverno (anche le sue amate caramelle ai mirtilli) al fine di avere un mezzo, seppur bizzarro,che lo portasse verso la meta di tutti i suoi desideri.
Dopo giorni di fatiche, tutto era pronto. Il Gigante si sedette sopra i sedili di cioccolato della sua automobile e non esitò un secondo ad avviare il motore, che tra uno scoppio e l’altro faceva schizzare nuvolette di panna dalle marmitte.
Quando ormai l’uscita del villaggio era a pochi metri, il Gigante di Zucchero fu fermato dal Gigante di Miele. "Torna indietro! – lo ammonì –Sappiamo tutti cosa hai intenzione di fare! Nel mare – disse – ti scioglierai!".

Ma il nostro Gigante testardo non si curava minimamente dei suoi consigli e così proseguì il suo viaggio, fiducioso di poter sentire nel cuore almeno per una volta la felicità, quell’emozione sconosciuta e tanto piena di fascino.
Il tragitto dovette sembrargli molto più lungo (perché le ruote dell’automobile si attaccavano all’asfalto bollente) ma, alla fine, il volo dei gabbiani ed il frangersi delle onde sulla spiaggia non lasciarono più alcun dubbio al Gigante di Zucchero: era arrivato al mare.
Scese dal suo veicolo, che alcuni granchi buongustai avevano cominciato già a sgranocchiare, e si gettò in quell’infinita distesa cristallina.


Sull’acqua, il giorno dopo, i ragazzini trovarono un enorme sorriso di zucchero.

martedì 5 febbraio 2008

Work in Progress: Comic Strip

Ancora immerso nell'estenuante avventura americana, cerco di lasciare il segno della mia ingombrante presenza su questo territorio sconfinato, giusto per ribadire ai mangiatori di hot dogs che, per adesso, l'alieno Marco Talotta esiste nel loro spazio-tempo. Negli ultimi giorni, infatti, durante i pochi momenti di pausa tra il lavoro e la vita familiare, ho iniziato ad ideare una nuova serie settimanale di strisce a fumetti che dovrebbe chiamarsi "MELBOURNE & ZZAKK", con l'obiettivo di farla acquistare e pubblicare online su di un sito specializzato, molto popolare qui negli Stati Uniti. Sono ancora alle prime vignette, non ho neanche deciso se usare o no il colore e devo scrivere ogni battuta in inglese, ma la voglia di creare un nuovo mondo dal nulla mi dà 6 marce e 2 sportelli in più. Così, se tutto andrà bene e se mi deciderò a consegnare il maledetto prototipo delle prime storie, tra qualche settimana potrò dire di avere il lavoro part time più fico del mondo (escludendo il porno-star vestito in abiti medievali, naturalmente).

mercoledì 23 gennaio 2008

Collaborazione con "Città di Milazzo"


Oggi, 23 Gennaio 2008, è stata inaugurata una nuova sezione sul frequentatissimo sito del Comune di Milazzo. Lo spazio si chiama "Racconta la Città"e, come riferisce il curatore " è dedicato a tutti coloro (grandi e piccoli, residenti e non) che vogliono raccontare con la propria voce il luogo dove vivono, un episodio o un'esperienza significativa vissuta nella città di Milazzo. L'obiettivo del responsabile del progetto di questo sito è quello di dar voce alle mille risorse, ai mille tesori che Milazzo custodisce, di tutelare l'identità e la memoria storica cittadina. Raccontare Milazzo significa: narrare un aspetto particolare, descrivere un'emozione, un prodotto locale, un antico mestiere o un'antica ricetta culinaria, inviare una foto."
Sono più che felice di dare il via personalmente al progetto, con la presenza di alcuni estratti da Marco Talotta's World. Ecco il link:
http://www.comune.milazzo.me.it/racconta_citta.htm

giovedì 17 gennaio 2008

Teoria dell'Evoluzione


Se penso al passato, mi vien da ridere quando -in famiglia- consideravamo il tragitto da Milazzo a Messina come un viaggio da programmare, una sfida valorosa contro il tempo e lo spazio. Ricordo che ci preparavamo in maniera disordinata e nervosa, supervisionati attentamente da mio padre, che era sempre il primo ad essere pronto e giaceva, come un titano ferito, sulla sedia della sua camera da letto. Poi, finalmente, ognuno finiva di lavarsi, pettinarsi o guardare la TV, e ci si fiondava convulsamente in macchina, pronti a parlare di quanto si era fatto tardi, del parcheggio che non avremmo mai trovato e dei negozi che stavano già per chiudere, mentre noi eravamo ancora per strada. Qualche volta, istericamente, ci si rendeva conto che non avevamo neanche fatto benzina.

Adesso, con due figli spudoratamente sparsi per l'emisfero, i miei genitori intrepidi mandano giù, come fossero babà al rhum, voli all'estero e transoceanici. Un mese sono a Cambridge, l'altro a Washington DC. E se mio padre smettesse di parlare esclusivamente in italiano a tutti gli americani che incontra sul suolo statunitense, si potrebbe perfino parlare di evoluzione...

lunedì 7 gennaio 2008

Short Story: Lui

Era nato con le gambe. 2 bizzarre appendici che lo tenevano eretto sul terreno, senza che dovesse trascinarsi sulle braccia come tutti gli altri. Nessuno sapeva o capiva il perché di tanto crudele abominio. E intanto Lui, tra indicibili fatiche, aveva imparato a sfruttare la sua deformità. Mille volte era caduto al suolo, con sgraziata pesantezza, e aveva pensato rabbiosamente di rimanerci. In altre occasioni, semplicemente, la schiena non aveva retto allo straordinario sforzo e Lui si era dovuto piegare tra gli spasmi.
Ma alla fine di un caldo giorno d’estate, Lui era arrivato lì, dove l’aria non odorava di terra, e ci era voluto rimanere. Non importava a che prezzo.
La gente, al suo passaggio, a volte sollevava il capo e sogghignava del suo sfrontato, inammissibile equilibrio. Poi tornavano ai loro vuoti impegni quotidiani, imprigionati nelle regole istituite da chissà quale sconosciuto. Ognuno di loro si premurava di scavare laboriosamente il terreno, di raccogliere sassi, frutti e radici. E alla fine di ogni giornata consegnavano le pietre ai Guardiani, in modo che le usassero come armi di attacco o difesa. Successivamente, donavano buona parte del raccolto ai Vecchi Governatori, che regnavano su tutti con equa saggezza. Infine, strisciavano alle loro abitazioni con un magro bottino e pregavano, finché avevano voce in gola o speranza nel cuore. Nella quiete della notte, invocavano di continuo l’Entità che dimorava, da tempo immemore, oltre la Grande Collina. La scongiuravano di accoglierli, alla fine delle loro vite, nel Suo regno incantato dove tutto era migliore, armonioso. Dove tutto aveva un senso.
Quella era la forza che portava avanti le loro cieche esistenze ordinarie, che li faceva trascinare al suolo con accettazione. Gli bastava guardare verso la Grande Collina per sapere che ogni cosa, ogni singola creatura, aveva uno scopo ed una ricompensa vera. Così, erano sicuri e felici.
Ma Lui, il deforme, colui che adesso si ergeva sovrastando i suoi simili, era diverso. Lui aveva smesso di accontentarsi delle storie dei Vecchi Governatori. Ormai aveva in petto l’unico e ardente desiderio di vedere, in tutta la sua magnificenza, il luogo remoto dove dimorava l’Entità. Voleva raggiungerLa e parlarGli, chiederGli domande su domande, alle quali Lui non aveva mai trovato una risposta. E sentiva di essere il primo e l’unico che avrebbe potuto farcela.
Così, in un giorno normale di un mese normale, Lui decise di iniziare a scalare la Grande Collina sulle sue gambe. E nulla lo fermò.
Salì, si aggrappò, si sforzò, spinse fino allo stremo e gridò, e gridò ancora, mentre dal cielo la pioggia aveva cominciato a cadergli addosso con veemenza. Vento, acqua e gelo non fermarono le sue gambe, neanche per un istante, mentre la meta si faceva sempre più vicina.
Arrivò piangendo dalla gioia sulla cima, la cima della Grande Collina, e Lui, guardando oltre di essa, alla fine vide il nulla.

Il nulla più vuoto.

Il niente più arido e inaspettato.

Niente di niente di niente.

Cadde sulle ginocchia frastornato, incredulo, singhiozzante. Col petto, poi, si accasciò sulla ruvida roccia, mentre ancora pioveva su di Lui e su tutti gli altri là sotto. Lampi, tuoni e vento si facevano ancora più forti, ma ormai non importava.
Sulla cima della Grande Collina, quel pomeriggio, il nulla, lentamente, grandemente, ferocemente, gli riempì gli occhi ed il cuore.