lunedì 28 aprile 2008

Quasi Fosse un'Astronave


Me ne avevano rubata una l’anno scorso. Era nera con le rifiniture color oro. La lasciavo in garage e, per quanto l’amavo, le davo l’arrivederci prima di chiudere il lucchetto sulla catena. Era il mio primo acquisto importante da quando mi ero trasferito negli States, il mio unico mezzo di esplorazione in quel mondo a me sconosciuto. Non avevo ancora la Green Card, né il permesso di lavorare, nessun amico e una scarsa fiducia nel mio inglese: ero praticamente un alieno. Lei costituiva l’unico motivo per alzarmi la mattina e volar fuori col sorriso, nel tentativo di scoprire qualcosa in più del mio nuovo vicinato. Quasi fosse un’astronave.

Poi, un pomeriggio, son sceso in garage con lo zaino in spalla e tanta voglia di avventura.
Ma non ho trovato neanche catena e lucchetto.
Son rimasto incredulo a guardare quello spazio vuoto per qualche minuto, poi mia moglie mi ha dato una scossa e mi ha portato dentro casa, mentre ancora farneticavo parole senza senso. Pensavo fosse un segno del destino, credevo il significato fosse più che chiaro: Marco, povero piccolo idiota venuto da tanto lontano, questo non è e non sarà mai il tuo posto. Torna a casa, e tornaci a piedi. Punto e vaffanculo. Decisi che non avrei mai più comprato una bici in vita mia. Così feci passare un anno e, non lo nascondo, le cose in generale non furono per niente facili, ma con mia sorpresa migliorarono. Poi migliorarono ancora ed ancora. Feci l’esperienza del college, trovai un lavoro, poi un altro ancora più vantaggioso, mentre la gente in giro cominciava a riconoscermi, salutarmi, telefonarmi. A dare un calcio alle crisi d’identità e agli shock culturali, finalmente arrivarono gli amici, le feste e le follie. E qualcosa cominciò a formicolarmi in testa, anche se non ne ero ancora propriamente convinto. Arrivò la Primavera del 2008 e con essa il bel tempo e la voglia di stare fuori all’aria aperta, il desiderio di volare ancora. Così, quasi per caso, la trovai nello stesso negozio dove avevo comprato la prima e decisi di portarla a casa con me.
Il nome del modello è “Cobra GT”, in onore della vecchia Ford Cobra. Io la chiamo “libertà”. Adesso ci volo in giro per la mia città, i miei boschi e i miei sentieri, senza nessun limite o confine. Quasi fosse un’astronave.

lunedì 14 aprile 2008

"L'Appuntamento". Testo : Marco Talotta - Illustrazioni : Tip Thongtavee

Colazione con cereali e qualcosa che mi fissa da dietro le tende. E’ uno di quelli rossi. Quelli che nelle mani hanno un dito solo, un solo indice corto e pulsante. Lo aprono e chiudono in continuazione, nervosamente. Non so cos’è che li rende più tozzi degli altri, forse quel collo così grosso e gonfio. Hanno un modo lento e penoso di respirare, quelli rossi, non so spiegarmi perché. Adesso si avvicina goffamente, a scatti, striscia sotto il tavolo e si ferma qui ai miei piedi. Oggi sembra sudare più del solito.
Questo latte sta quasi diventando acido, mi brucia sulla lingua. Non è un bel modo per iniziare la giornata. Se avessi un lavoro, oggi non ci andrei.
La creatura non mi lascia sola neanche mentre faccio la doccia, si è nascosta nel cesto della biancheria e crede che io non lo sappia. Il getto d’acqua è così forte e piacevole su di me che per un attimo sorrido.
Ne stanno arrivando altri, più piccoli e incredibilmente agili. Non sono rossi. Uno di loro sembra incuriosito dal mio spazzolino da denti e ne mordicchia le setole. Forse ha trovato frescura in qualche residuo di dentifricio. Sono felice che non stiano ancora litigando tra loro. Quando lo fanno, le ombre sul muro si incontrano e scontrano rendendo scura ogni stanza della casa. Prendo l’accappatoio e loro cominciano a scappare, solo quello rosso resta immobile e continua a spiarmi.
Paul ha deciso che oggi possiamo riprovarci. Penso di essergli mancata molto in questi due mesi. Mi piace Paul, mi piace davvero. Le sue braccia sono grandi, forti, quando mi stringe quasi non respiro più.
Inizio a truccarmi e dentro lo specchio si muove qualcosa, è come un volto rugoso ma senza sguardo.
Ancora un po’ di rossetto e sarò la più bella di tutte, oggi.
Dei rumori in cucina fanno vibrare un po’ le pareti, qualcosa sta sbattendo sui muri le pentole e tutto quello che trova. Sembra opera di un essere forte, pesante, il suo grido è rabbioso e violento, come se uscisse dal fondo di un pozzo.
Non ho più molto tempo per prepararmi, è quasi l’ora dell’appuntamento. In camera da letto l’armadio è stato morso più volte, nel suo interno solo un abito è rimasto intatto. Metto quello.
Una tra le entità presenti nell’ingresso mi apre la porta, sussurrandomi nell’orecchio assurde minacce. Le sue risate suonano come dei grugniti ascoltati al contrario sopra un nastro. Dice che presto perderà il controllo e mi ucciderà senza alcun rimorso, senza alcuna pena.
La macchina si accende al primo colpo, credo che oggi sia proprio il mio giorno. Sul sedile alla mia destra c’è un’oscena figura senza pelle. E’ molto triste e non fa che piangere e tossire, creando un curioso effetto sonoro nell’abitacolo.
Giro la prima a sinistra e non posso fare a meno di notare le viscere ingarbugliate del suo corpo trasparente. Credo che dei vermi si stiano cibando dei polmoni e gli diano molta noia.
Ecco il cinema, sono anche un po’ in anticipo. Faccio un giro per cercare parcheggio e qualcosa ferma il traffico. Qualcuno ha investito un bambino, vicino al marciapiede. Angeli e demoni lo ghermiscono terribilmente proprio mentre la madre perde i sensi. Una scena orribile.
Scendendo dalla macchina ho quasi rotto un tacco, comincio a innervosirmi sul serio. Sono le mie scarpe migliori e adesso hanno un graffio, un’enorme incisione che non potrò mai far riparare.
Davanti al negozio di fiori una sagoma continua a mutare forma arrampicandosi sul lampione, come per gioco.
Mi guarda in faccia e comincia a tremare, ansimare. I suoi occhi sono sempre più grossi, le vene si gonfiano perdendo gocce di un sangue nero, formano a terra densi laghetti, dei rigagnoli fetidi che un gattino in tutta fretta inizia a leccare. Tutte le rose gialle del negozio appassiscono, anche qualche orchidea. Dietro quel vetro svogliatamente lucidato i petali cadono e si contorcono senza fine. E una vecchia signora dalla voce stanca, arrivata dal fondo della strada, mi dice qualcosa, una confidenza che la riempie di buon umore. Che la fa ridere a occhi chiusi come una ragazzina.
Dice che Paul non esiste e che non c’è mai stato, che è una mia folle, disperata invenzione.

Aspetto lì vicino al lampione per un’ora.

Due.

Paul……Paul non arriva. Vado via e finalmente le strade sono libere.
Sotto il sedile dell’auto, lentamente, con affanno, qualcosa respira. E’ uno di quelli rossi.