venerdì 23 gennaio 2009

Le Scarpe Volanti di Capitan Jet - Capitolo 1

"Alzati, è tardi ! " strillò la mamma scuotendolo un po’. " Alzati, Howard, farai di nuovo tardi a scuola !! " Ma Howard stava ancora sognando, volava spensierato nei cieli di Chissaddove insieme al suo eroe, in fondo la maestra Castlemain poteva anche aspettare...
La mamma dovette afferrarlo per i piedi e trascinarlo giù dal letto fino al corridoio. Poi, quando finalmente il marmocchio trovò la forza e la coordinazione per aprire gli occhi, cominciò ad arrancare stancamente verso il televisore, inciampando più di una volta nei suoi calzini scesi. Ed eccolo già lì in cucina, sommerso dai mille cereali multivitaminici della sua colazione forzata, davanti ad un’altra imperdibile, epica, memorabile ed emozionante avventura del cartone più bello di tutti. " Leggero come una piuma, veloce più del vento, Capitan Jet vola con le sue scarpe d’argento ! " strillò la sigla affascinandolo sempre come la prima volta. E così, anche quella mattina ce l’aveva fatta : niente e nessuno al mondo avrebbe potuto distoglierlo da un evento di simile grandezza. " Scappa... Corri... Attentooo !!! " gridò dalla tavola il ragazzino, impugnando la sua spada interdimensionale improvvisata, a forma di cucchiaio." Si... bravo... così !! " E intanto quello schermo ipnotizzante diventava sempre più un vortice d’azione, di pericoli, combattimenti e acrobazie, adesso Capitan Jet sembrava avesse preso una delle sue coraggiose decisioni, era ormai pronto, stava per... stava per... ZZZOT. La mamma aveva spento la TV. Punto. Niente finale dell’episodio, nessuna vittoria del bene cosmico sul male ancestrale, zero catarsi, solo una corsa disperata per arrivare in tempo alla grigia-noiosa-severa-nonmipiaceneancheunpò scuola. Howard, con il viso ancora vistosamente paralizzato dalla shockante interruzione e neanche il tempo minimo per lamentarsi con efficacia, schizzò via nella sua camera e tirò giù maldestramente i vestiti dall’armadio. Prese poi le scarpe da sotto il letto, le infilò nei piedi tra mille titanici sforzi e.. " Ma un momento... " esclamò quel mancato scolaro, sempre più in ritardo " Un momento... questi non ci sono mai stati sotto il mio letto !" Si chinò di nuovo e prese incuriosito un paio di stivaletti della sua misura. Erano nuovi e lucidissimi, di un giallo che non poteva e non avrebbe mai potuto essere di moda. " Strano, sarà una sorpresa di mamma e papà ! " " Ma se li metto adesso-pensò tra sé- Steve e gli altri mi diranno che ho delle banane ai piedi!" Così li lasciò sul pavimento, salutò di corsa la mamma esibendo lo sguardo di chi non ha ancora perdonato, e trascinò il suo gigantesco zainetto fino alla strada. Fece i consueti due isolati e andò a prendere il povero Ralph che, come al solito, lo stava aspettando da chissà quanto. Ralph viveva dai Perkins, la famiglia più antipatica e irritante di tutto il quartiere, era stato adottato. I suoi veri genitori avevano perso la vita in uno sfortunato incidente d’auto, lo stesso che aveva privato lui dell’uso delle gambe. Howard non aveva mai conosciuto una persona così infelice, per questo cercava sempre di stargli vicino. I due, col tempo, erano diventati grandi amici." Scommetto che oggi ti sei svegliato all’alba ! >> disse Ralph burlandosi dell’amico." Scusa-scusa... mi dispiace ! Hai aspettato molto, vero ? " rispose il nostro protagonista, mortificato per non avere una giustificazione valida." Non fa niente !-esclamò ironicamente guardando la sua sedia a rotelle- Questa carrozzina era arrugginita già da prima... andiamo a scuola !"Proprio in quel momento, una mano robusta ed irsuta aprì minacciosamente la finestra del piano superiore : era papà Perkins. " Non siete ancora a scuola ? Cosa diavolo ci fate nel mio giardino a parlottare, dannati imbecilli smidollati ?" Prese un po’ di fiato e poi emise un boato raccapricciante :
" VIAAAAAAAAAAA!!!!!!!!!!!! "
I due si allontanarono storditi e in tutta fretta, mentre la mamma Perkins aveva cominciato ad imprecare e il cane Perkins ad abbaiare.E così, quel giorno, Howard e Ralph arrivarono giusto in tempo per non essere chiusi fuori dal cancello di quell’odiato edificio, provando la fastidiosa sensazione di chi si getta con tempismo tra le fauci di uno squalo.
TO BE CONTINUED

lunedì 5 gennaio 2009

Marco e lo Zio d’America: L'Incontro a New York

Con lo Zio d’America non c’eravamo mai incontrati di persona. L’avevo scoperto, nei giorni in cui ancora vivevo in Italia, come il milazzese per eccellenza su tanti siti, forum e pubblicazioni. Un’entità astratta che, dalla lontanissima America, assorbiva e vegliava sullo spirito della sua cittadina mai dimenticata.
A mezzogiorno del 19 Dicembre, quando fuori la neve riempiva di bianco la cima dei grattacieli, le strade ed i cappotti della gente, Carmelo è arrivato a prenderci alla Grand Central Station di New York, indossando distintamente una coppola siciliana ed esibendo un sorriso semplice, che dava a me e ai miei familiari un benvenuto sincero, rompendo così ogni indugio, attesa ed interrogativo. Non ci eravamo mai visti prima d’allora, ma sempre stimati reciprocamente ed istintivamente. In particolare, tempo fa, lo Zio d’America mi aveva inviato una copia del suo libro ”Dove il Sole Tramonta a Ponente” e ne ero rimasto abbagliato, immergendomi ed immedesimandomi totalmente in quella sua epopea autobiografica, dove un giovane appena ventenne lascia Milazzo e tutti i suoi affetti per imbarcarsi verso gli Stati Uniti. Ricordo che lo lessi tutto d’un fiato una notte e che poi mi precipitai al computer per ringraziare l’autore con un’e-mail. E come poi scoprii durante quel gelido pomeriggio a New York, appena arrivati a casa di Carmelo, i miei commenti a caldo sulla sua opera erano stati integralmente inclusi in un bell’articolo su “America Oggi”, quotidiano italiano pubblicato negli Stati Uniti. Così, dopo un’occhiata incredula al giornale, del quale me ne aveva gentilmente conservato una copia, mi venne come l’impulso di dare uno sguardo ravvicinato ad una stanza in particolare della sua abitazione, che per qualche ragione brillava di una luce diversa. Era una camera vicina al soggiorno, un luogo tutto intimo e personale fatto di ricordi vivi, foto e quadretti raffiguranti Milazzo e Lipari. Con la televisione accesa che parlava l’italiano della RAI ed al centro il computer dal quale, ogni notte, Carmelo si affaccia verso quel mondo oltre l’oceano, per afferrarne anche solo uno scorcio e mettere il cuore a tacere ancora per un po’. Mi sentivo come se avessi fatto una grande scoperta, o che qualcosa dentro di me fosse stata chiarita. Avevo visto lo Zio d’America dall’altro lato di quel monitor.
La giornata è continuata poi, piacevolmente, con un maestoso pranzo italiano cucinato dalla moglie Michela, della quale spesso lui si lamenta scherzosamente (proprio come faccio io con la mia Christina!). Michela, originaria della Puglia, non ha esitato a confermarci l’ossessione del marito per la terra della sua infanzia, che è sempre nei suoi discorsi, ed in cuor mio sorridevo, sapendo come ci si senta ad averla dovuta abbandonare.
Mentre ormai le strade di fronte erano completamente bianche, a tavola ci si soffermava a ricordare i personaggi storici e attuali del nostro paesino siciliano, a cercare di dare un senso alla politica italiana e ad annaffiare il tutto con un buon caffè.
Carmelo, meglio di un parente, è stato straordinariamente affettuoso con me e la mia famiglia: ci era venuto a prendere alla stazione ferroviaria (40 minuti da dove abita), pagato il viaggio di andata e ritorno e, come se la generosità non fosse stata abbastanza, ci ha regalato dei biglietti per un musical a Broadway. Era amareggiato, tanto da non dormirci la notte, perché la tempesta di neve aveva rovinato i suoi programmi, così non poteva vedere lo show con noi, o mostrarci di persona la sua New York. Ma anche solo quel pomeriggio insieme, tra sguardi, sorrisi e parole importanti, mi è servito a capire quanto quel mio contatto informatico e telefonico fosse davvero un amico in carne ed ossa, qualcuno su cui -come mi ripete lui spesso- potrò contare sempre.
Lo Zio d’America è una persona diversa da quelle che si vedono adesso in giro, il tempo non ha cambiato il suo entusiasmo per la vita e la sua voglia di sognare. E’ un siciliano fiero dagli occhi vivi e buoni, come fossero quelli di un bambino. Un bimbo che osserva quella sua Milazzo dentro una sfera di vetro e la stringe tra le mani come se fosse il suo unico tesoro.
Alla fine della giornata, mentre ci accompagnava a prendere il treno, lui guardava me come se fossi il Carmelo del passato, io guardavo lui come se fosse il Marco del futuro. Cose che non ci siamo mai dette.