martedì 14 dicembre 2010

Buone Feste dal Mio Piccolo Luca

(clicca sulla cartolina per ingrandire)

mercoledì 10 novembre 2010

Mamma

Quando mia madre piange, sembra una bimba che il mondo ha maltrattato senza un motivo. Quel pomeriggio d’Agosto la guardavo dalle partenze all’aeroporto, lei con gli occhi verso di noi e quel nipotino che ci ha aiutato ad allevare. Mi sentivo come fossimo strappati via da lei che, dietro le transenne, ci seguiva con gli occhi tristi senza consolazione. Un’altra volta lontani, lontanissimi.
Vorrei che un giorno accadesse qualcosa di grande e giusto, che in un baleno assorbisse le sue ansie e i suoi dolori. Che la prendesse per mano e le dicesse: “Piccola Mariuccia, mi dispiace per come il mondo, a volte, ti ha trattato, per tuo papà che è andato via così presto, per tutti quelli che si son serviti della tua bontà. Adesso sii serena e goditi quel che hai intorno. E’ tempo.”
Guardo la tua foto sulla bici, mamma ormai sessantenne, e mi rendo conto che non sei cresciuta mai davvero. Sei sempre piccola, fragile, innocente, bellissima. Nessuna delle brutture della vita ti ha mai intaccato. Con papà pensi già al Natale in America da noi, così i giorni voleranno leggeri.
 Io a mio figlio parlo sempre di te, di voi, di quel mondo incantato oltre l’oceano. Luca mi guarda, con quei suoi occhioni grandi ed espressivi, e sembra sapere che anche lui viene da lì. Quando sarà più grande e potrà capir meglio, gli racconterò di quei mattini di tanto tempo fa, quando eri un’insegnante. Lasciavi casa alle prime luci del giorno e venivi nel mio letto per baciarmi in fronte, mentre dalla stazione vicina sentivo il fischio dei treni che partivano. Io spesso ero sveglio e credevo che tu stessi andando via verso chissà quale luogo remoto, saltando su una di quelle vetture. Poi, però, tornavi sempre e mi stringevi forte.
Allora, in quel paesino della Sicilia, ero un bimbo piccino con gli occhiali che non sapeva nulla del mondo. Neanche che a svanire lontano, un giorno, sarebbe stato proprio lui.

martedì 12 ottobre 2010

Pasticcio di Supereroi

Nel remoto Quartier Generale dei Supremi, durante la riunione supersegreta, si decideva dove custodire i pericolosi oggetti sequestrati alla Setta Criminale. Il Cascatore Mascherato, in quel momento, reggeva tra le mani l’ampolla racchiudente il Seme del Male. E cascò.

Al rumore del vetro che si frangeva in mille pezzi, la Sala dell’Incommensurabile Saggezza si fece più buia, mentre le ombre s’ingrandivano ingoiando le pareti. Il Ragazzo Sonico gridò di terrore e l’Uomo Martello lo piantò immediatamente al suolo, la Donna Infiammabile s’incendiò bruciando il Trio dei Pennuti, l’Aviatore si gettò dalla finestra lasciando sulla poltrona il mantello volante, il Macellaio macellò l’Uomo Toro, il Cecchino Mistico sparò un proiettile mistico nella fronte assorbente dell’Uomo’Assorbente, il Ragazzo Pianta Carnivora divorò in un solo boccone l’Uomo Grillo e la Mosca Ninja, il Maestro di Rime fu centrato alla nuca dallo scettro rotante del Grande Duca, il Gigante Buono non si sentì più tanto buono e stritolò tra le mani il Bambino Prodigio e la Veggente Millenaria, il Cacciatore catturò ed impagliò la Donna Lupo, il Boia impiccò sé stesso, Doc Camaleonte si mimetizzò e fu investito in pieno dall’impazzito Uomo Locomotiva, il Burlone chiamò “spastico” l’Uomo Elastico e venne strangolato da un suo dito, il Cobra si avvelenò mordendosi la lingua, la Spia prese a colpi di radio in faccia Mr Radio-Spia, infine a Fungo Atomico scoppiò in petto una tremenda, immane, raccapricciante, devastante esplosione termonucleare. Bye bye Supremi.
E al termine della riunione il mondo, almeno quello che ne era rimasto, rimase senza alcuna difesa.
                                         La Fine?

lunedì 27 settembre 2010

La Fine dell'Estate

La fine dell’estate è la fine della gioventù. Tutto si raffredda e di amici in giro non ne vedi più tanti, mentre giacche, maglioni e una malinconia sottile riempiono l’armadio svogliatamente. Agosto è ormai un ricordo, ma ti ritrovi ad ascoltare ancora le sue canzoni. E ti accorgi che le emozioni, questa volta, le fanno suonare diversamente.
La fine dell’estate è come una paura che hai nel cuore. La spiaggia si svuota e non vedi più barche od ombrelloni, radio o asciugamani. Vanno tutti via, senza avvertire. Rimane solo il mare, sempre lì, che ingrossa le onde e ti chiama ancor più forte.
E’autunno, adesso, tempo di tornare alla vita reale. Io son già volato via, di nuovo, lontano da quel mondo che mi ha allevato. Nelle valige ho messo un po’ di tramonti, di piazze siciliane e di allegria sincera. Così l’inverno sarà più dolce.
Presto, qui e in altri posti arriveranno il gelo e la neve, e proprio adesso la pioggia batte forte sui tetti. Ma dai banchi di scuola e dagli uffici il pensiero di ognuno va al sole, ai tuffi, alle gite, alle corse in motorino e alla libertà. Intanto, rinchiuse nell’ordine delle cose, le nostre vite vanno avanti. Aspettando con pazienza che arrivi un'altra estate.

domenica 19 settembre 2010

Un Sogno

Mi risvegliai sconvolto dai residui di un sogno, mi graffiavano dentro come fossero vetro. Avevo ancora addosso le emozioni di qualcosa che non era reale. Mi feci strada verso il bagno, entrai nella doccia e chiusi gli occhi. Il getto d’acqua mi colpì il volto e fu come se l’esperienza ricominciasse di nuovo.
Ero lì.
Nuotavo smarrito tra i flutti del mare aperto, alle prime luci del mattino. Dall’orizzonte, nella sua crudeltà, mi apparve l’enorme, rigonfia carcassa di una balena. Metà della testa era già andata, il resto del corpo orrendamente mutilato. Una miriade di pesci attorno quella pozza rossa che, disperatamente, cercavo di non raggiungere. E becchi rossi dei gabbiani che staccavano la carne brandello su brandello. Le onde sbattevano su e giù quel titano senza vita, mentre le bestie, nella furia famelica di quel banchetto, continuavano ad accalcarsi tra loro senza fine. Nell’aria, in quell’angolo di oceano, si spandeva un odore terribile. Io, per qualche ragione, non provavo paura e stetti ad osservare a lungo. Mi chiesi cosa fosse successo a quel gigante caduto, le cui spoglie, adesso, venivano martoriate e fagocitate avidamente. E cercai di capire il perché di tanta ferocia insita nella natura delle cose. Poi, mi ritrovai a vagare confusamente nel porto a notte fonda, a piedi scalzi e con gli abiti fradici ritornai a casa. E con grande dispiacere, con gli occhi colmi di tristezza, notai che la vita continuava. Mi accorsi che le automobili erano sempre lì per strada, le luci nei portoni ancora accese e che il vento sbatteva le solite cartacce sul marciapiede. C’era una coppia che fumava e discuteva in un balcone e sorpresi un gatto saltar via da una ringhiera. Ogni cosa andava avanti lo stesso senza pena, rimorso od incertezza. Nonostante la perdita del cetaceo.

Il sogno si interrompeva così. Non so cosa voglia dire, forse neanche m’importa. Esco dalla doccia e, per un po’, vedo ancora i becchi rossi dei gabbiani che si avventano sulla carne.


mercoledì 25 agosto 2010

Pomeriggio Surreale


Passeggiata al fresco di fine estate, senza scopo, da solo per una strada che le gambe conoscono a memoria. Dal nulla la pioggia mi sorprende. Pesantemente cade, precipita, spinge su ogni cosa. Batte su viso e corpo, si fa strada tra pelle e muscoli, arriva all’anima e seppellisce tutto quello che c’era di me. Rimane solo una pozza d’acqua gelida, sul bordo del marciapiede, che pian piano svanisce all’arrivo del sole. E nessuno se ne accorge davvero.

lunedì 23 agosto 2010

Tre Canzoni dalla Mia Adolescenza



Canzone della Liberta'

Non so quante volte mi hai sentito dirti “TI AMO”.

Ed hai visto luccicare i miei occhi per te, nella notte.
Ma se tu davvero vedessi il mio cuore capiresti.
E senza far rumore ce ne andremmo via, per mano.
Senza una meta ma insieme, lasciando dietro le nostre ombre.
Se tu vedessi il mio cuore potresti volare con me, sfiorando le onde fredde del mare. E tutti i pesci prenderebbero a saltare.
Chiudi gli occhi e guardami dentro. Non mi farai male.
E ci abbracceremo tutta la notte, mentre il silenzio ubriaca le strade.
E ce ne andremo liberi, senza più voglia di tornare.
Senza più voglia di tornare.


Canzone Triste



Quanti gatti per la città! Tremila occhi che squarciano il
buio. Escon di notte e nemmeno lo sai.
Sembrano un fiume che inonda le strade.
E poi davanti seimila topini. Corrono svelti per vivere ancora. E per scappare di nuovo domani.
Sul marciapiede c’è un vecchio ubriaco, piange in silenzio
e si copre le braccia. La sua coperta è fatta di sogni, dei sogni più belli.
Sopra nel cielo ha paura la luna, che questa notte
non vuole apparire. Mai come adesso la terra sta zitta.
E tutto intorno un miagolio che si allontana.
Che si allontana.




La Canzone del Mare



Guardavi i gabbiani tra i raggi del sole. Scendevano lenti
e leggeri sul mare. Ridevi e dicevi che carezzavano le onde.
Carezzavano le onde.
Il vento soffiava, e soffiava con forza. Tu mi baciavi più forte di
lui. Forse è per questo che ti chiamavo amore. Forse è per questo che
stavo con te.
Un pescatore rideva sul molo. Dentro al suo secchio saltavano i pesci. Saltavano i pesci.
In aria sentivo il tuo dolce profumo, e una canzone suonava per noi.
Ma ora nell’aria c’è solo il silenzio, ed i gabbiani non volano ormai.
Io mi domando perché sei sparita, mentre le onde mi bagnano il cuore. Sto tutto il giorno col vento ad aspettare. Forse tra un poco poi arriverai.
C’è un pescatore che ride sul molo. Dentro al suo secchio
c’è un vecchio scarpone. C’è un vecchio scarpone.

sabato 17 luglio 2010

Monologo Stanco, Aperto e Senza Pretese

Chissà come ci si sente quando sei morto. E la tua vita, o almeno la tua percezione di essa, è andata via da qualche parte. Quando non c’è più cuore e respiro, muscoli o parole. Chissà dove si va, se si pensa ancora. Chissà perché nessuno ancora lo sappia per certo, perché molta gente ne abbia paura solo all’idea. Magari, per comprendere certe cose, bisogna filtrarle attraverso una diversa percezione, trovandosi cioè in una condizione differente. Chissà se tutti i mondi che creiamo con la fantasia, od ogni nostro sogno e pensiero, sono vivi in un’altra dimensione. Mi chiedo poi perché gli animali, che sono vivi come noi, che usano istinto e sensazioni più e meglio di noi, siano così sottovalutati, considerati comunemente come esseri inferiori. Gli uomini hanno inventato la logica, il linguaggio, la prigione del tempo, hanno costruito regole e religioni per avere il controllo della loro realtà, per dare un senso a qualcosa che non hanno mai capito interamente. E che non riescono a decifrare neanche adesso che la loro scienza è arrivata inevitabilmente al limite. A volte penso che se il genere umano non si fosse mai “evoluto” al livello attuale, il nostro pianeta non sarebbe un mondo stravolto ed in pericolo. Ed io non avrei la lucidità di pormi tutte queste domande.
Così, in una notte come questa, contemplando quel mare che tanto mi ha atteso, la mente spazia verso l’infinito e riaffiorano vecchi, assurdi interrogativi. E se facessimo parte di un progetto di cui forse è meglio non essere al corrente? Siamo davvero gli oggetti inconsapevoli di un esperimento? E se ogni individuo avesse la sua personale realtà, dettata dal cervello e dalle proprie percezioni? Oppure se, come esseri umani, avessimo da tempo imboccato una strada sbagliata, che ci sta portando verso qualcosa di innaturale e che non ha senso? Ho la spiacevole sensazione che le risposte a tutte le domande importanti, quelle che lasciano un vuoto nell’anima, ci siano negate di proposito. Non nascondo, quindi, la mia invidia per quelle persone convinte che esistere sia una mera questione di sopravvivenza, dove ciò che conta è solo mangiare, dormire e lavorare. Nascono, si agganciano ai binari che trovano davanti a loro e muoiono privi di tormenti, senza neanche chiedersi il perché di quel viaggio. Beati loro.
Adesso in molti credono che il mondo sarà soggetto ad un enorme cambiamento, o addirittura finirà, nel 2012. Se così fosse, non penso che sia la prima volta per la Terra. Ho la sensazione che questo pianeta ospiti, ciclicamente, civiltà ed esseri viventi. Io, nel mio piccolo microcosmo, nella mia esperienza di uomo messo in terra, sto qui e cerco di comprendere quel che posso. Al prezzo di sembrare folle, non scarto nemmeno le ipotesi più lontane dal modo di pensare “tradizionale”. E comincio ad esser dell’idea che la verità, altro termine inventato dalla nostra lingua per incamerare qualcosa di immenso ed assoluto in un concetto o singola parola, risieda dentro di noi. E che sprechiamo del tempo prezioso quando ci ostiniamo a cercarla esclusivamente all’esterno.
Intanto, davanti a questo cielo notturno di metà Luglio, respiro l’aria della mia Sicilia e gioisco nel trovar per strada la mia gente, provando emozioni quasi dimenticate. Poi torno a casa e osservo quel piccoletto nella culla che dorme già da un pezzo, mentre mia moglie apre gli occhi per regalarmi un sorriso. E, ancora per un altro giorno, mi accontento cosi'.

giovedì 24 giugno 2010

L'Asilo in Via del Sole

In quelle mattine alla fine degli anni 70, una mamma ed un papà giovanissimi mi accompagnavano all’asilo dove mia nonna lavorava come maestra. Entravamo in quella stradina stretta di Via del Sole, quasi nascosta dal resto della città, ed una moltitudine di odori forti e tanto diversi tra loro si faceva avanti , assalendoci quasi con prepotenza. C’era una stalla con fieno e cavalli, poi, di fronte, il legno e le vernici della bottega di un artigiano del restauro, mentre proprio accanto alla porta d’entrata della scuola ci abitava una vecchietta che faceva il pane in casa, con ciambelle dal profumo del paradiso. Salivamo le scale dell’asilo e già sentivamo le vocine piccole dei bambini, mentre la cuoca aveva iniziato a preparare i piatti per la mensa e gli aromi si spandevano dalla cucina a tutto il palazzo. Così, esattamente in quest’ordine, iniziavano le giornate dei miei cinque anni, in compagnia di altri amichetti che si pulivano il naso sulle maniche dei grembiulini e col sottofondo del vociare delle maestre, squillante e continuo. Ricordo che dai nostri faccini, specialmente ad inizio mattinata, trasparivano spesso il dispiacere e la paura per esser lontani dai genitori.
L’aula di mia nonna era di sopra, alla fine di una rampa di scale che a me pareva insormontabile. Quando ci arrivavo, aprivo quel cancelletto di legno e gettavo la mia cartella nel mezzo di un ammasso di zainetti, tutti dai colori sgargianti dei cartoni animati. Poi, lei mi prendeva tra le braccia e mi mostrava il panino che mi aveva comprato per merenda alla bottega lì vicino. Dal modo in cui mi parlava, dalla luce speciale nei suoi occhi chiari che brillavano alla mia vista, capivo quanto affetto avesse per il suo primo nipotino e quanto la mia presenza la rendesse felice. Solo adesso che scrivo, curiosamente, mi torna in mente che in quella sua classe c’era una bimba, dall’aspetto maturo e diverso dalle altre, che io guardavo e consideravo bellissima. Lei non parlava mai con nessuno, era timida ed introversa come me. Così, per questo motivo, non ci siamo mai scambiati neanche una sillaba.
Quasi ogni giorno si scendeva a giocare giù nel giardinetto, dove le piante ed i frutti, non curati, crescevano selvaggiamente spandendo un odore acre. Una mattina, correndo su quella terra arsa dal sole, caddi sbattendo forte la nuca sul bordo di un’aiuola e, per un attimo, pensai con sgomento che tutto stesse già per finire. Per la prima volta, provai la lucida consapevolezza di essere anch’io vulnerabile e che nessuno potesse davvero proteggermi.
Dopo i giochi all’aria aperta, si ritornava dentro e ci si sedeva tutti insieme per il pranzo, su quelle sedioline che, a vederle oggi, ne avrei tenerezza. In quella lunga, chiassosa tavolata, c’era sempre almeno un bimbo che non voleva mangiare e faceva disperare le insegnanti. Il piccolino veniva prima esortato con estrema dolcezza, poi con media gentilezza, ed infine con la furia estrema dell’esasperazione. Era una scena penosa da guardare.
In quel breve periodo della mia vita, provavo spesso tra quelle mura una sensazione di disagio che mi faceva bruciare lo stomaco, non mi sentivo di starci e sarei voluto essere libero di scegliere dove e con chi trascorrere le mie mattine. Quel bruciore, ora me ne rendo conto, era la prima reazione alle imposizioni che bisogna seguire nella nostra esistenza, senza farsi troppe domande. Non ho poi un ricordo forte dei miei compagni di gioco, li vedo come tanti fantasmi del passato, mi riesce difficile attribuir loro un volto o alcuna affezione particolare. Credo che le mie simpatie e le amicizie vere siano cominciate solo alle elementari.


Chissà dove sono finiti tutti, mi chiedo adesso dopo quasi trent’anni. Mia nonna è molto vecchia e si ricorda solo a tratti di essere stata una maestra d’asilo, mentre molte delle altre insegnanti non ci sono più da tempo. I bambini sono tutti cresciuti, loro malgrado, diventando quelle famiglie che si vedono passeggiare la sera per le strade di Milazzo. Quella bimba speciale, che cercavo con gli occhi segretamente, sarà ormai una donna che adesso neanche riconoscerei. E la vecchina con le sue ciambelle, in quella casetta grande come una noce, è soltanto un ricordo nel cuore di pochi.
Io invece sono qui, in un paese grande, diverso e lontano più dell’immaginazione, ma alla mia infanzia in quell’angolino in Via del Sole, come a tutte le cose passate che non tornano più, ancora mi ci aggrappo per trovarne calore.

domenica 23 maggio 2010

La Giornata del Poeta

Soffio dopo soffio il vento suona gli alberi come un organetto stanco, goccia dopo goccia la pioggia cade e riempie il mare. E il poeta se ne sta lì da solo, seduto sulla spiaggia con le gambe incrociate. Non ha più un soldo, una casa, una donna o un amico, nemmeno un rasoio per farsi la barba. Ma per ognuno di quei sassolini che adornano la costa, lui possiede una parola speciale. E’ questa la sua ricchezza. Fissa la linea esile che separa le acque dal cielo e contempla davanti a sé. In quel tramonto astratto il giorno e la sera danzano insieme, come ogni altro giorno. Nascosti tra nuvole grigie, si perdono nell’abbraccio breve di un’attrazione impossibile, di un amore sublime. Poi, senza preavviso, senza che nessuno possa opporvisi, si fa di nuovo buio. E’ una coperta scura smisurata, spaventosamente infinita che copre ogni cosa ed ingoia le montagne. Nel gelo di quell’incontenibile tenebra, il poeta scorge la luce timida delle stelle che si rispecchiano sulla superficie del mare, in un gioco atavico che sembra ancora divertirle. Sono l’ultima oasi per tutti gli uomini che hanno perduto la strada, sono gli occhi di qualcuno che ci guarda da molto lontano sin dall’inizio dei tempi.
Adesso è ora di andare.
Il poeta si alza, riallaccia meticolosamente quelle scarpe malridotte, va verso le onde e vi si immerge fino a sparire. A lui non importa di respirare. E cammina tra i pesci, ammira il labirinto incantato dei fondali e sorride, cercando con gli occhi una città sommersa dove riposare. Chissà quando tornerà. Un gabbiano gli tiene il posto sulla battigia e aspetta, un po’ turbato. Il mondo ha bisogno di poeti.

martedì 11 maggio 2010

Frank Frazetta

Riconosciuto da critici e ammiratori come maestro supremo dell’illustrazione fantastica, per me era uno dei pochi ad aver trovato (davvero) la chiave della porta per il mondo dei sogni. Osservando anche distrattamente qualsiasi sua tavola o disegno, venivi risucchiato nel bel mezzo di un’avventura intrigante, che altri autori sarebbero stati capaci di raccontare solo con un albo intero. Aveva l’intuizione e una visione personalissima delle cose propria dei geni. Lunedì scorso, al ritorno da una cena con i familiari , un infarto ha spento impietosamente quel suo cuore ottantaduenne da avventuriero.
Non ci sarà mai nessuno come lui. Una vita ed un talento immenso al servizio della fantasia e dell’immaginazione: non c’è causa che io potrei rispettare di più.
Un inchino a te, Frank Frazetta, per non esserti accontentato del nostro mondo e per aver creato nuovi, incredibili universi tutti da scoprire. Adesso che te ne sei andato, mi chiedo se tu stia fluttuando in una di quelle dimensioni aliene, ma non troppo lontane, a te tanto care. Qui, sulla terra da cui sei partito, una legione di sognatori veglierà sul tuo ricordo. Grazie per averci lasciato la chiave che custodivi.

domenica 11 aprile 2010

Il Cerchio

I bambini volano sulle ali leggere dell’infanzia, sopra quel mondo che è tutto un gioco. Non sanno mai niente di niente, né di nessuno. In quel giardino verdissimo che è l’inizio del viaggio, giocano liberi e si godono il sole, senza pensieri.



I giovani crescono e s’incontrano tra loro durante il cammino, mille e più volte. Gli amici cambiano, spariscono e poi si ritrovano, dalla Sicilia a Roma, da Roma all’America. Quelli veri rimangono e basta solo uno sguardo, una parola, per ritrovare l’intesa. Intanto gli amori cominciano a fiorire, quando hai un cuore piccolo e ti sembrano ancora più grandi. E quando li perdi il petto brucia e ti senti morire. Poi i ragazzi, senza avere una scelta e sempre troppo presto, lasciano spazio ad altri giovani e diventano grandi. Prima con rassegnazione, timore, riluttanza. Poi crescono davvero e tutto quello che avevano intorno cambia.


Certi pomeriggi, seduti al lavoro, gli uomini guardan fuori dalla finestra e trovano i ragazzini che si spingono e si rincorrono. Con un sorriso lieve sul volto riprendono la loro giornata da adulti e sospirano pò, al ricordo dei giorni quando il ritornello di una canzone era tutto cio' a cui pensare.


Gli anziani siedono al parco, sin dal mattino, con la gamba a cavallo di quei pantaloni d’altri tempi. Osservano mamme e papà spingere i bimbi in carrozzella e si tolgono il cappello quando passan le signore. Poi un bambino, quasi fosse una fatalita', si sporge dal passeggino e offre lo sguardo ad uno di loro sulla panchina. Occhi deboli e stanchi ricambiano l’intesa e la vita del vecchio ricomincia di nuovo, come in un cerchio che non si chiude mai davvero, disegnato da chissà chi.


Intanto, alcuni bimbi hanno preso a giocare di nuovo in quel prato verde ed assolato…

sabato 27 febbraio 2010

"L'Attesa". Testo: Marco Talotta - Foto: Sergio Andaloro(http://sergioandaloro.blogspot.com/)

Come una barchetta capovolta sulla spiaggia di Ponente. Immobile, stanca, con il timore e la tristezza di essere dimenticata lì per sempre. Come lei affronto a testa bassa l’inverno, da quest’America distante, mentre il mare in tempesta grida forte il mio nome.
Sono un guscio scavato da pioggia e vento che aspetta e si consola, con ricordi agrodolci nutro quest’attesa per stagioni intere. Presto, come ogni anno nei mesi caldi a Milazzo, la spiaggia si riempirà di gente. I ragazzini saranno lì di nuovo a giocare al pallone tra mille risate, le mamme strilleranno invano ai loro figli di uscire dall’acqua e nuove generazioni di tuffatori si scaglieranno dagli scogli più alti, per provare a se stessi e ad i compagni di esser già uomini. Tutto scorrerà come in un libro già scritto. Un libro magico dove, certi tramonti, puoi vedere i delfini saltare all’orizzonte.
Come fossi anch’io adagiato tra sassi e rovi attendo e spero che arrivi quel tempo anche per me, che l’estate mi riporti ancora dove debbo stare. Sono nato e vissuto con le onde tutt’intorno, con il sole a riscaldarmi e l’allegria di una vita semplice. E non posso più aspettare.


So che un giorno sarò un vecchio relitto a cui nessuno vuol neanche pensare. Come un esule straziato dal tempo e dalla nostalgia tornerò, cercando chi ancora mi attende. E alla fine del viaggio sarò una carcassa che potrà adagiarsi, per sempre, nel fondo del suo mare.


mercoledì 27 gennaio 2010

Una Qualunque Settimana Americana

Sveglia alle 6 del mattino - Di corsa barba e caffè - Prepararsi in tutta fretta - Salto in macchina - Accompagnare mogliettina al lavoro – Traffico – Semafori – Traffico - Recarsi al lavoro – Lavorare – Lavorare – Lavorare – Lavorare – Lavorare – Lavorare - E ancora lavorare - Di nuovo in auto - Stress lavorativo ancora appiccicato addosso – Precipitarsi a prendere la consorte in attesa (per ora in tutti i sensi) – Traffico all’ora di punta – Semafori – Traffico all’ora di punta - Semafori - Dritti al supermarket – Spesa - Troppo freddo per passeggiare - Troppo freddo solo al pensiero di star fuori - Finalmente a casa – Stress lavorativo che non se ne va - Di corsa a rilassarci per un po’- Rimorso per non aver fatto niente all’aria aperta - Ora di cena - Si cucina la cena - Si prepara la tavola – Cena – Cucina da sistemare – Balzo sul divano per guardare la tv – Frustrazione per non essere fuori a passeggiare - Videogiochi ed internet - Preparare vestiti per l’indomani per risparmiare qualche minuto - A letto con fumetti e riviste varie - Si chiudono gli occhi controvoglia - 6 ore di stato comatoso, sognando il mare - L’impietosa sveglia delle 6 colpisce ancora - Ricominciare la folle corsa per una vita ordinaria – Ripetere tutto di nuovo e allo stesso modo.
Ogni giorno è lo stesso.
Fortunato di avere un lavoro che paga spese e capricci. Felice di vivere con la persona giusta. Contentissimo della macchina e della casa nuova, che accoglieranno un figlioletto in arrivo.
Ma la vita, quella che mi portava a spasso, che mi legava alla natura, che mi faceva incontrare gli amici per strada, che mi stringeva a padre, madre e fratello, che rallentava il tempo per far si che godessi ogni cosa, che riempiva i polmoni, rinvigoriva corpo e spirito, questa vita dov’è? Cerco una risposta, negli attimi di lucidità, ma vengo risucchiato nella routine spersonalizzante di un’altra giornata, dimenticandomi anche quale fosse la domanda. Altre 24 ore per seguire disperatamente, ed inevitabilmente, quella lista di un’esistenza a stelle e strisce che a tutti sembra andar bene. L’anima può anche attendere, sembrano pensare qui. E così passano la vita intera in auto, sempre di fretta e senza nemmeno guardarsi, a bere come pazzi ai bar come unica scusa per incontrarsi, parlando spesso solo di soldi e lavoro. Ma la mia è un’anima diversa, un’anima strana, cresciuta in un mondo lontano, più ingenuo, che nessuno può capire. Forse proprio perché non hanno tempo.