lunedì 27 settembre 2010

La Fine dell'Estate

La fine dell’estate è la fine della gioventù. Tutto si raffredda e di amici in giro non ne vedi più tanti, mentre giacche, maglioni e una malinconia sottile riempiono l’armadio svogliatamente. Agosto è ormai un ricordo, ma ti ritrovi ad ascoltare ancora le sue canzoni. E ti accorgi che le emozioni, questa volta, le fanno suonare diversamente.
La fine dell’estate è come una paura che hai nel cuore. La spiaggia si svuota e non vedi più barche od ombrelloni, radio o asciugamani. Vanno tutti via, senza avvertire. Rimane solo il mare, sempre lì, che ingrossa le onde e ti chiama ancor più forte.
E’autunno, adesso, tempo di tornare alla vita reale. Io son già volato via, di nuovo, lontano da quel mondo che mi ha allevato. Nelle valige ho messo un po’ di tramonti, di piazze siciliane e di allegria sincera. Così l’inverno sarà più dolce.
Presto, qui e in altri posti arriveranno il gelo e la neve, e proprio adesso la pioggia batte forte sui tetti. Ma dai banchi di scuola e dagli uffici il pensiero di ognuno va al sole, ai tuffi, alle gite, alle corse in motorino e alla libertà. Intanto, rinchiuse nell’ordine delle cose, le nostre vite vanno avanti. Aspettando con pazienza che arrivi un'altra estate.

domenica 19 settembre 2010

Un Sogno

Mi risvegliai sconvolto dai residui di un sogno, mi graffiavano dentro come fossero vetro. Avevo ancora addosso le emozioni di qualcosa che non era reale. Mi feci strada verso il bagno, entrai nella doccia e chiusi gli occhi. Il getto d’acqua mi colpì il volto e fu come se l’esperienza ricominciasse di nuovo.
Ero lì.
Nuotavo smarrito tra i flutti del mare aperto, alle prime luci del mattino. Dall’orizzonte, nella sua crudeltà, mi apparve l’enorme, rigonfia carcassa di una balena. Metà della testa era già andata, il resto del corpo orrendamente mutilato. Una miriade di pesci attorno quella pozza rossa che, disperatamente, cercavo di non raggiungere. E becchi rossi dei gabbiani che staccavano la carne brandello su brandello. Le onde sbattevano su e giù quel titano senza vita, mentre le bestie, nella furia famelica di quel banchetto, continuavano ad accalcarsi tra loro senza fine. Nell’aria, in quell’angolo di oceano, si spandeva un odore terribile. Io, per qualche ragione, non provavo paura e stetti ad osservare a lungo. Mi chiesi cosa fosse successo a quel gigante caduto, le cui spoglie, adesso, venivano martoriate e fagocitate avidamente. E cercai di capire il perché di tanta ferocia insita nella natura delle cose. Poi, mi ritrovai a vagare confusamente nel porto a notte fonda, a piedi scalzi e con gli abiti fradici ritornai a casa. E con grande dispiacere, con gli occhi colmi di tristezza, notai che la vita continuava. Mi accorsi che le automobili erano sempre lì per strada, le luci nei portoni ancora accese e che il vento sbatteva le solite cartacce sul marciapiede. C’era una coppia che fumava e discuteva in un balcone e sorpresi un gatto saltar via da una ringhiera. Ogni cosa andava avanti lo stesso senza pena, rimorso od incertezza. Nonostante la perdita del cetaceo.

Il sogno si interrompeva così. Non so cosa voglia dire, forse neanche m’importa. Esco dalla doccia e, per un po’, vedo ancora i becchi rossi dei gabbiani che si avventano sulla carne.