martedì 25 dicembre 2012

Giorni


Mio padre era ancora un ragazzo e lo guardavo mentre, sporgendosi da quella scala di legno consumato, stendeva la carta da parati sulle pareti del corridoio. Erano giorni di vita nuova, con due bimbi che cominciavano giá le elementari e tanta aria di ottimismo. La giovane famiglia cresceva e cambiava, e così la casa ed ogni cosa al suo interno. Lui passava la colla sul muro ascoltando la radio locale, che mescolava Ramazzotti ad Elton John. Erano gli anni '80 dei mangianastri, delle foto con la Polaroid, lo zainetto Invicta ed i paninari, lo Swatch come orologio ed i primi video musicali su MTV. Il mondo era più ingenuo e tutto sembrava semplice e meno pericoloso.
Mia madre aveva cominciato a portare i capelli corti, mentre io mi ero abituato al  primo paio di occhiali da vista, con le stanghette arrotondate alla fine per non scivolare dalle orecchie.  Ricordo  ancora le visite dall'oculista, quando il dottore mi chiedeva se il canarino era dentro o fuori dalla gabbia, o se il pesciolino rosso era nella sua boccetta. Poi, puntualmente, alla fine  chiamava l'infermiera per mettermi un collirio dall'odore forte e sgradevole, che mi appannava la vista per una buona mezz'ora, turbandomi non poco.
E in una mattina in cui non capii bene cosa stesse accadendo, mamma mi accompagnò nell'aula del mio primo giorno di scuola. Mi sedetti in quel banco e trovai tutti gli altri bimbi giá lí, mentre lei mi aveva salutato, abbracciato e forse pianto, ed era ormai uscita ed andata via. Mi sentii solo e diverso, ebbi davvero paura ed al tempo non compresi che quella cartella blu, quei quadernetti e le matite colorate, l'odore della foderina di plastica sul libro, erano l'inizio vero della mia crescita.
 Memoria vivida dei sabati  in giro con mia madre, che in quel giorno non lavorava e mi teneva con sè, lontano dalle mura di scuola. Andavamo spesso in una spiaggetta e osservavamo le onde sbattere sugli scogli, o le navi, le barche e gli aliscafi passarci davanti in quel sogno colorato d'azzurro.
Nei pomeriggi di primavera, quando tutto cominciava a scaldarsi, pedalavo sul lungomare con mio fratello e ci fermavamo solo per comprare le gazzose al chioschetto. Papá e mamma ci salutavano e controllavano dalla loro panchina, seduti a parlare con amici e parenti. Alla nostra etá, in quella cittadina tranquilla della Sicilia, sembrava che ogni persona del mondo fosse felice, che tutto fosse in armonia.
Le nostre lunghe estati, attese cosí a lungo col cuore in mano, le trascorrevamo in viaggio con gli zii e le cugine, come fossimo una sola ed inseparabile famiglia. C’eravamo incontrati a pranzo ogni domenica dell'anno a casa della nonna, e finalmente adesso potevamo avventurarci tra autostrade, tende, roulotte e campeggi. Notti  in mezzo alla foresta col rumore dei grilli e l'odore dei pini, per risvegliarci la mattina con un bicchiere di latte ed una brioscia comprati nel piccolo spaccio locale. Poi tutti insieme ci si vestiva e  si andava a visitare la cittá, oppure restavamo in costume da bagno per divertirci in piscina o alla sala giochi,  incontrare i nuovi amici del posto ed esplorare ancor di piú quel microcosmo,  cosí speciale e diverso dal resto del mondo.

 Non credo che ci saranno mai giorni come quelli, davvero. Intendo che nulla potrá sfiorare la bellezza dolce ed imperfetta di ogni momento vissuto in quegli anni, cosí intensamente. Erano attimi di vita pura, onesta, libera e sincera. Ed oggi, adesso che scrivo da oltre il grande oceano,   lontano nel tempo e nello spazio, sono i ricordi piú cari nel cuore di un adulto.

lunedì 29 ottobre 2012

Successe Davvero (storia dedicata a mia madre)


 Acqua. Papá fissava l'acqua bollire nella pentola con sguardo assente. Da qualche giorno, pareva avesse gli occhi umidi e spenti di un pesce. E come un pesce era muto e non parlava quasi piú con noi o con nessun altro. Carezzai la  mia sorellina e tentai di rassicurarla, le dissi che tutto sarebbe tornato come prima. Adesso lui si era alzato per sedersi davanti a quella finestra che dava sul mare. Sembrava molto tormentato, mentre scrutava qualcosa che noi bambine non potevamo vedere. Presto papá cominció a passare ore ed ore nella doccia. Occhi e bocca aperti, mentre il getto d'acqua  fredda sembrava dargli finalmente la pace che cercava. Mamma non riusciva a capirlo e si era giá arresa, cosí spesso piangeva chiusa in camera per non farsi vedere. Papá tentava di giocare con me, ma non ci riusciva davvero. Qualcosa gli faceva troppo male e lo stava cambiando, era evidente. Credevo ormai di vedere delle piccole squame crescergli su per il collo, che lui si grattava nervosamente. Una sera di pioggia, mentre finivo i compiti di scuola, vidi papá aprire la porta e camminare verso la spiaggia. Con grande ansia decisi di seguirlo. Quella sarebbe stata la mia ultima volta con lui, ma a quel tempo non potevo immaginarlo. Ero dietro , infreddolita e senza scarpe, lui non notó subito la mia presenza. Il mare a quell'ora era una distesa infinita e tutta nera, appena increspata dall'acqua che continuava a cadere dal cielo. Stavo quasi per raggiungerlo, per prendergli la mano,  quando qualcosa ruppe quel silenzio cosí irreale. Vidi dei delfini che si avvicinavano alla riva, lentamente e con grazia naturale. Cantavano qualcosa che parve un richiamo. Non poteva essere vero, mi ripetevo mentre il cuore cominciava a  battermi ancora piú forte nel petto. Papá, in un attimo che ho ancora impresso nella memoria,   si giró verso di me per regalarmi quello che cercava di essere un sorriso. Il sorriso che avrebbe voluto rivolgermi durante i nostri ultimi giochi insieme. Poi il suo volto si fece  immensamente triste, quando tornó a guardare quelle acque cosí  fredde e  scure. Si liberó dei vestiti ed il suo corpo diventó tutto grigio, la sua pelle lucida e completamente squamosa. Quando gambe e braccia toccarono l'acqua,  sembrarono cambiare in pinne ed una coda.  Nessuno ci crederá mai. Cosí, senza preavviso,  papá sparí per sempre nell'abisso, ed  un silenzio ancora piú profondo si impadroní di quella spiaggia e di tutte le cose del mondo. 

Neanche un giorno dopo la sua scomparsa, sentii qualcuno dire la bugia piú grande e meschina. Raccontarono che mio padre si era ucciso, che il suo corpo fu trovato al largo da alcuni pescatori.

Passarono anni, decenni, e mia madre e mia sorella se ne fecero una ragione, ma non io. Io sono l'unica a sapere. Quello che il mare aveva restituito era soltanto il guscio della sua vita passata. Papá é libero e sta bene. Tempo fa il mio figlio maggiore, nonostante lui abbia solo una foto scolorita di quel parente mai conosciuto,  mi ha rivelato di sentire spesso la presenza del nonno, che veglia sulla nostra famiglia dalle acque. Mi ha detto che non  sono una donna debole ed  illusa, come converrebbe credere. Sono solo una bimba che ha voluto conservare la sua innocenza in una notte di tempesta.  E adesso che comincio ad invecchiare ne ho la certezza.

A volte, di notte, guardo fuori dalla finestra verso la spiaggia per salutarti, per farti sorridere ancora per una volta prima di andare. Papá che non mi hai mai abbandonato.


lunedì 10 settembre 2012

lunedì 16 luglio 2012

Quella Bottega


C'era una piccola bottega, a pochi passi dalla casa della mia giovinezza, e la trovo ancora oggi ad accogliermi come un navigante sperduto. É un negozietto familiare, di quelli di una volta, che adesso trema davanti ai nuovi colossi della concorrenza. La signora, invecchiata appena un pò, é seduta accanto al banco frigorifero per cercarne frescura, ed i suoi occhi pensierosi si accendono solo quando mi vede. Sono l'unico cliente, ma per me lei ha un sorriso onesto e bellissimo. Mi abbraccia, chiamandomi per nome, e dice che non sono nè piú magro nè piú grasso di prima. Lei mi vede sempre uguale, come quando indossavo il grembiule e facevo la fila col fratellino, tutte le mattine prima di scuola. Prendevamo uno dei suoi panini al burro con la mortadella, cosí oggi le chiedo la stessa cosa. Noto che il bancone dei salumi e la cassa sono gli stessi di trenta anni fa, ma l'aspetto generale é molto piú spoglio.  Assaggio il panino ed il sapore é esattamente lo stesso di sempre, di una bontá e freschezza impossibile da raccontare. La signora si muove tra le casse di pomodori grossi e dolci, raccolti nella sua campagna. Osservo provole, formaggi  e salami mentre lei  parla, mentre mi racconta dei nipotini e di ogni cosa positiva del suo piccolo mondo. La forza della sua semplicitá m'incanta, mi scuote come fossi ancora un bambino che non ha imparato molto. Vorrei dirle che grazie a lei oggi mi sento piú vivo, ma la saluto soltanto e le prometto che passeró ancora, prima della fine della mia vacanza. Torno verso casa dei miei genitori, seguendo quel marciapiede cosí familiare, e mi rendo conto che le cose vere, quelle che ti fanno battere il cuore, che ti rimangono dentro, sono le piú piccole. E che quelle, anche se tutto attorno sembra crollare, non cambiano mai.

mercoledì 20 giugno 2012

Un Altro Inverno



Orribile scoperta. La donna se ne accorse troppo tardi. Quel freddo sabato mattina, facendo colazione, si accorse che tutta la vita era passata. Che si era seduta sempre nello stesso posto in cucina, mangiando ogni volta gli stessi cereali, ascoltando distrattamente quella vecchia radio e fissando la sua ombra su quel muro che la opprimeva. Con terrore, si rese conto che non aveva mai capito nulla davvero e che presto se ne sarebbe andata chissá dove, ingoiata da quel vuoto che sentiva sempre piú vicino. Si avvolse ancor di piú nella sua vestaglia sbiadita e barcolló verso la camera da letto, mentre una mosca affogava nel suo latte, dibattendosi disperatamente.  Lí, incontró lo scheletro. Era seduto sul letto e sorseggiava qualcosa in una tazza sudicia. Il liquido appiccicoso scivolava giú dalla mascella, fino a bagnargli i femori e corrodere le lenzuola, che adesso fumavano. Era una curiosa nuvoletta verdastra che saliva fino al tetto, annerendolo. La donna rimase a guardare, tossendo. Era felice di non esser piú sola. Lo scheletro non disse niente, non le spiegó nulla del mondo, delle cose, della vita o della morte. Si limitó ad indicarle un oggetto sul suo comodino. C'era un'altra tazza, piena fino all'orlo, che lei afferró accennando un sorriso. E bevve, bevve avidamente mentre la sostanza le corrodeva gola, stomaco ed organi, liberandola da ogni peso. La stanza divenne gelida e lo scheletro inizió a tremare, facendo scricchiolare ogni osso del suo corpo in una tetra melodia. Rimaneva poco della donna, adesso. Era una carcassa avvolta in uno straccio, come forse lo era sempre stata. Qualcosa, simile ad una bestia scura e dal ringhio feroce, uscí dalle pareti per trascinarla via. Era una creatura dai gesti goffi, rozzi, che scivolava sulla sua stessa bava e sbatteva ripetutamente sui mobili. Poi tutto finí in un attimo, con grazia, quando lo scheletro pose un fiore appassito sul letto ed andó via, tra la pioggia, molto lontano. La radio in cucina, voce del mondo esterno, continuó a strillare la sua musica alla fine del notiziario. Cominciava un altro inverno.

sabato 2 giugno 2012

Anni Fa


Seduto nella quiete di una sera qualunque, guardo le stelle lontane e torno indietro ai ricordi di tanti anni fa. Sembra fosse ieri. Le prime birre e le feste in spiaggia, con la luna ad illuminare quei salti folli tra le onde. Poi, ognuno con il suo zainetto,  passeggiavamo sul lungomare in quelle mattine di settembre. Firme e disegni sui diari nuovi inauguravano l'anno scolastico, appena iniziato. I pomeriggi si facevano più freddi ed arrivavano i compiti a cambiare le nostre abitudini, anche se l'estate era difficile da dimenticare. Un panino con l'amico alla bottega vicino casa e poi un giro in motorino, senza meta e senza scopo. Liberi. Sigarette fumate di nascosto, scherzi e discorsi fino a far tardi per cena. La folla di ragazzi in centro e la pizza in comitiva del sabato sera.  C'era ogni volta qualcuno di cui eravamo innamorati, da sognare la notte ed inseguire di giorno. Avevamo sempre un professore che ci odiava o un'avventura ad aspettarci lí fuori, lontano dai banchi di scuola o dalle prediche dei genitori. Eravamo giovani con tutto il mondo da vivere, mille strade da percorrere, verso quel futuro perso alla fine di un labirinto, che non riuscivamo davvero a vedere. Mi chiedo spesso cosa ne sia stato di noi, adesso. Volenti o nolenti, abbiamo tutti seguito il corso delle cose, senza poterne sfuggire. Come i nostri padri, come i nostri nonni, come pesci piccoli spinti dalla corrente siamo andati avanti. Siamo qui come ogni persona di questa terra, di ogni tempo, speciale o ordinaria, e ce ne andremo  via allo stesso modo. Dopo aver amato, imparato,  creato, temuto, sperato, toccherà a qualcun altro far girare questa ruota che non si ferma mai, che non ci lascia il tempo di capire dove la stiamo spingendo. Guardo fuori da questa finestra lontana da tutti e penso quanto sarebbe bello, solo per una volta, domani svegliarmi con i compagni di classe che mi chiamano da fuori, pronti a gettarsi nella vita senza pensieri. A saltare di nuovo tra gli scogli di quel molo, zaini di scuola in spalla, con il sorriso ingenuo di chi pensa di avere il mondo in mano. Proprio come tanti anni fa.

giovedì 23 febbraio 2012

Un Nuovo Mondo



Nell'ultimo giorno del Grande Attacco, tra le macerie, un uomo ed una donna si trovarono vivi tra i morti. Avevano perso tutto. Si guardarono per la prima volta, ed in quel secondo capirono che non avevano mai avuto davvero niente. Insieme camminarono tra sentieri di cenere e tristi frammenti di passato. Per terra trovarono quello che restava del gioco di un bambino, poi stracci, cocci di ogni genere e carcasse di animali. Nei tubi dei respiratori, che gli avvolgevano il collo,  penetrava l'odore orribile di carne, plastica e gomma bruciate insieme. Neanche le sirene suonavano più, erano state anch'esse annullate da una potenza spaventosa, da quella furia inattesa e spietata che aveva colpito ogni cosa. I due cercarono di non piangere e proseguirono. Poi, luccicante sotto quel sole che diveniva sempre più scuro e malato,  la videro. Aveva la forma di una creatura marina, sembrava come una grande manta metallica. Uno degli Incursori giaceva senza vita all'interno di quella navetta, che non pareva danneggiata. L'uomo cercò subito di avvicinarvisi, ma la donna lo trattenne e gli parlò,  per la prima volta: "...Troppo dolore, troppi morti...stanne lontano!" Lui non si fermò e si fece strada tra la fessura d'entrata sotto un'ala del mezzo, era il suo istinto a dirgli che non vi era alcun pericolo. Con grande sforzo e repulsione spinse fuori la creatura squamosa, dal cui torace continuava a gocciolare un siero giallastro. Poi, fece un cenno alla sua compagna di fortuna. Adesso, come se non avessero altra alternativa,  quasi per nascondersi dall'orrore tutt'intorno, si trovavano insieme dentro la corazza lucida di un congegno alieno. Si sentirono subito male, la testa girava, le gambe si facevano deboli, il petto sembrava voler essere risucchiato dall'unico oggetto presente lì dentro. Era una grossa pietra di un colore vagamente simile al viola, ma molto più intenso, di una consistenza che oscillava continuamente dal liquido al solido. La pietra sembrava voler comunicare con l'essenza più intima del suo nuovo equipaggio, cercava di carpire informazioni all'interno di quelle anime martoriate dagli eventi. Poi la navetta iniziò a vibrare, prima impercettibilmente, in seguito con una potenza inaudita. L'uomo e la donna non compresero, si strinsero, temettero e forse sperarono che tutto stesse per finire. Non si stavano muovendo, o almeno così pareva. Dopo qualche secondo, ebbero la sensazione di sgusciare sotto un velo leggermente elettrico, avvertirono un sibilo curioso e poi più nulla. La donna finalmente pianse, e quando guardò fuori  si rese conto di trovarsi in un luogo completamente diverso. Sporse la testa all'esterno della navetta e sentì, attraverso quella maschera che le opprimeva il viso, un odore fortissimo. Proveniva da milioni di ciuffi verdi che spuntavano dal terreno, dappertutto. Poi scorse il grosso tronco di quello che sembrava un albero, non lontano da loro, dalla forma molto regolare e di un insolito colore marrone.  Esseri volanti e con solo un becco planavano leggeri su una distesa d'acqua trasparentissima, che non pareva emanare alcun vapore tossico. L'aria era fresca, pungente, apriva i polmoni. Non vi era traccia di nebbia, gas o fumi di alcun genere. Il sole era di un giallo inimmaginabile. Gettarono su quel suolo soffice le loro maschere filtranti e respirarono da soli, per la prima volta. E, come non accadeva da moltissimo tempo, sorrisero. Erano in un luogo lontano, in un mondo sconosciuto, ma dove?  Tutto era vagamente simile al loro pianeta, ma allo stesso tempo incredibilmente differente, meravigliosamente più complesso, armonioso. "E se gli Anziani avessero sempre avuto ragione? - formulò l' uomo con voce tremula- ... E se questi degli Incursori - proseguì - non fossero dei vascelli spaziali...ma veicoli interdimensionali?" La donna si mise le mani al volto, pensierosamente: " Potremmo non aver mai lasciato casa...forse siamo sempre qui, sulla Terra, ma in una dimensione diversa! " concluse. Poi una lunga pausa di silenzio, rotta dal cinguettare allegro dei volatili lassù. Forse i due erano davvero  arrivati lì per un motivo preciso. Era una sensazione strana, scomoda. Per un nuovo inizio, bisognava passare attraverso la fine. Ma quel mondo sembrava non sposarsi bene con ansie e preoccupazioni, così la donna si tolse di dosso la tuta di contenimento, annerita dai detriti, e si tuffò tra le acque con una leggerezza dimenticata. "Mi chiamo Eva...e il tuo nome qual é?"
" Il mio nome é Adamo! " rispose l'uomo denudandosi, e con un balzo la raggiunse in quello specchio azzurro di paradiso.

lunedì 9 gennaio 2012

Lo Scrigno


Ho uno scrigno, nel petto. Come una salvezza. Quando non c'é piú piú luce attorno lo apro e vedo me, da bambino, che con mio fratello guardo i cartoni animati giapponesi. Ci trovo dentro le recite buffe alla scuola elementare, i lavoretti fatti per la festa della mamma, la mia maestra e tutti i compagni di scuola. Sono un bimbetto con gli occhiali ed i capelli con la riga, come papá. Poi un ragazzino che legge i suoi fumetti mentre tutti dormono, perso tra le meraviglie di mondi irreali. Tra quei tesori scorgo le corse in motorino con l' amico di turno, i primi appuntamenti con le ragazze, i volti e le emozioni di ogni mio amore passato, i lunghi viaggi su di un treno sudicio, dal quale mi sporgo e trovo fuori il mare della mia terra. Gli arrivi a tutte le stazioni o gli aeroporti, dove una madre e un padre amorevoli mi hanno sempre aspettato. E poi mi aggrappo a quella giovinezza che non é voluta mai andar via, ai sogni che col tempo sono sempre gli stessi, alla semplicitá e all'innocenza delle cose piú belle.
Apro lo scrigno e mi fermo ad ammirare quello splendore, a sorridere, a piangere, a sorprendermi di quante cose cambino durante una sola vita. Poi lo richiudo con gentilezza, caramente, con attenzione, mentre il sole ritorna nella stanza. E questo circo imperfetto, questo battello esile in un mare di misteri, continua la sua strada verso chissá dove.