Nonno Aldo
Ricordo lontano di mio nonno. Seduto, stampella poggiata al muro, in un angolino del suo microcosmo. Odore intenso del dopobarba azzurro che teneva nell’armadietto, insieme alle altre piccole cose importanti.
Giornate passate a leggere, sfogliare e rileggere la rivista “Oggi”, la più bella di tutte, o a strillare a qualcuno di rispondere a quel telefono che non smetteva di squillare. E ad aspettare figli e nipoti per offrir loro le gazzose alla sera, e sentirli finalmente tutti intorno a lui.
Mattine trascorse in silenzio a guardare la gente, là fuori, passare senza fine. A fumare una delle MS nel pacchetto e poi a soffiarsi il naso nel fazzoletto uscito dal taschino. Mani poggiate su quella gamba che non si era mai del tutto aggiustata, fin dai tempi in cui era carabiniere.
Pomeriggi immersi tra abitudini e pensieri. Appuntamento in TV con Raffaella, Corrado e Pippo Baudo, amici cari e leali.
Nonno vestito a nuovo il giovedì, per portarci al mercato come fosse una festa. Adagiato sotto il tetto di quel magazzino, ci aspettava e parlava con l’uomo che vendeva la frutta. E fumava, fumava, guardava ed aspettava ancora.
Memoria affettuosa di mio nonno Rocco Romualdo, maresciallo in pensione che tutti chiamavano Aldo. Gridava arrabbiato: “Porco diavolo!” e si sporgeva dalla sedia fin quasi a cadere. Sentiva il rombo assordante di un motociclista, in strada, e gli urlava a pieni polmoni: “Disgraziato!!”. O, appoggiato al muretto del suo cortile, ogni tanto lanciava in terra la sua stampella e così si sfogava. Mentre i nipotini scappavano via, promettendo di non dondolarsi più su quel cancelletto arrugginito, che per loro era un luna-park.
Pensiero triste di un giorno dopo la scuola, quando passavo davanti a quel cortile e lui mi ha chiamato, a gran voce, per dirmi qualcosa. Ed io, di fretta, gli ho fatto un cenno con la mano e non mi sono fermato.
E poi quel vecchio, quell’uomo forte che mi guardava con orgoglio perché ero il suo nipote maschio, non l’ho visto più.