Era nato con le gambe. 2 bizzarre appendici che lo tenevano eretto sul terreno, senza che dovesse trascinarsi sulle braccia come tutti gli altri. Nessuno sapeva o capiva il perché di tanto crudele abominio. E intanto Lui, tra indicibili fatiche, aveva imparato a sfruttare la sua deformità. Mille volte era caduto al suolo, con sgraziata pesantezza, e aveva pensato rabbiosamente di rimanerci. In altre occasioni, semplicemente, la schiena non aveva retto allo straordinario sforzo e Lui si era dovuto piegare tra gli spasmi.
Ma alla fine di un caldo giorno d’estate, Lui era arrivato lì, dove l’aria non odorava di terra, e ci era voluto rimanere. Non importava a che prezzo.
La gente, al suo passaggio, a volte sollevava il capo e sogghignava del suo sfrontato, inammissibile equilibrio. Poi tornavano ai loro vuoti impegni quotidiani, imprigionati nelle regole istituite da chissà quale sconosciuto. Ognuno di loro si premurava di scavare laboriosamente il terreno, di raccogliere sassi, frutti e radici. E alla fine di ogni giornata consegnavano le pietre ai Guardiani, in modo che le usassero come armi di attacco o difesa. Successivamente, donavano buona parte del raccolto ai Vecchi Governatori, che regnavano su tutti con equa saggezza. Infine, strisciavano alle loro abitazioni con un magro bottino e pregavano, finché avevano voce in gola o speranza nel cuore. Nella quiete della notte, invocavano di continuo l’Entità che dimorava, da tempo immemore, oltre la Grande Collina. La scongiuravano di accoglierli, alla fine delle loro vite, nel Suo regno incantato dove tutto era migliore, armonioso. Dove tutto aveva un senso.
Quella era la forza che portava avanti le loro cieche esistenze ordinarie, che li faceva trascinare al suolo con accettazione. Gli bastava guardare verso la Grande Collina per sapere che ogni cosa, ogni singola creatura, aveva uno scopo ed una ricompensa vera. Così, erano sicuri e felici.
Ma Lui, il deforme, colui che adesso si ergeva sovrastando i suoi simili, era diverso. Lui aveva smesso di accontentarsi delle storie dei Vecchi Governatori. Ormai aveva in petto l’unico e ardente desiderio di vedere, in tutta la sua magnificenza, il luogo remoto dove dimorava l’Entità. Voleva raggiungerLa e parlarGli, chiederGli domande su domande, alle quali Lui non aveva mai trovato una risposta. E sentiva di essere il primo e l’unico che avrebbe potuto farcela.
Così, in un giorno normale di un mese normale, Lui decise di iniziare a scalare la Grande Collina sulle sue gambe. E nulla lo fermò.
Salì, si aggrappò, si sforzò, spinse fino allo stremo e gridò, e gridò ancora, mentre dal cielo la pioggia aveva cominciato a cadergli addosso con veemenza. Vento, acqua e gelo non fermarono le sue gambe, neanche per un istante, mentre la meta si faceva sempre più vicina.
Arrivò piangendo dalla gioia sulla cima, la cima della Grande Collina, e Lui, guardando oltre di essa, alla fine vide il nulla.
Il nulla più vuoto.
Il niente più arido e inaspettato.
Niente di niente di niente.
Cadde sulle ginocchia frastornato, incredulo, singhiozzante. Col petto, poi, si accasciò sulla ruvida roccia, mentre ancora pioveva su di Lui e su tutti gli altri là sotto. Lampi, tuoni e vento si facevano ancora più forti, ma ormai non importava.
Sulla cima della Grande Collina, quel pomeriggio, il nulla, lentamente, grandemente, ferocemente, gli riempì gli occhi ed il cuore.