giovedì 24 giugno 2010

L'Asilo in Via del Sole

In quelle mattine alla fine degli anni 70, una mamma ed un papà giovanissimi mi accompagnavano all’asilo dove mia nonna lavorava come maestra. Entravamo in quella stradina stretta di Via del Sole, quasi nascosta dal resto della città, ed una moltitudine di odori forti e tanto diversi tra loro si faceva avanti , assalendoci quasi con prepotenza. C’era una stalla con fieno e cavalli, poi, di fronte, il legno e le vernici della bottega di un artigiano del restauro, mentre proprio accanto alla porta d’entrata della scuola ci abitava una vecchietta che faceva il pane in casa, con ciambelle dal profumo del paradiso. Salivamo le scale dell’asilo e già sentivamo le vocine piccole dei bambini, mentre la cuoca aveva iniziato a preparare i piatti per la mensa e gli aromi si spandevano dalla cucina a tutto il palazzo. Così, esattamente in quest’ordine, iniziavano le giornate dei miei cinque anni, in compagnia di altri amichetti che si pulivano il naso sulle maniche dei grembiulini e col sottofondo del vociare delle maestre, squillante e continuo. Ricordo che dai nostri faccini, specialmente ad inizio mattinata, trasparivano spesso il dispiacere e la paura per esser lontani dai genitori.
L’aula di mia nonna era di sopra, alla fine di una rampa di scale che a me pareva insormontabile. Quando ci arrivavo, aprivo quel cancelletto di legno e gettavo la mia cartella nel mezzo di un ammasso di zainetti, tutti dai colori sgargianti dei cartoni animati. Poi, lei mi prendeva tra le braccia e mi mostrava il panino che mi aveva comprato per merenda alla bottega lì vicino. Dal modo in cui mi parlava, dalla luce speciale nei suoi occhi chiari che brillavano alla mia vista, capivo quanto affetto avesse per il suo primo nipotino e quanto la mia presenza la rendesse felice. Solo adesso che scrivo, curiosamente, mi torna in mente che in quella sua classe c’era una bimba, dall’aspetto maturo e diverso dalle altre, che io guardavo e consideravo bellissima. Lei non parlava mai con nessuno, era timida ed introversa come me. Così, per questo motivo, non ci siamo mai scambiati neanche una sillaba.
Quasi ogni giorno si scendeva a giocare giù nel giardinetto, dove le piante ed i frutti, non curati, crescevano selvaggiamente spandendo un odore acre. Una mattina, correndo su quella terra arsa dal sole, caddi sbattendo forte la nuca sul bordo di un’aiuola e, per un attimo, pensai con sgomento che tutto stesse già per finire. Per la prima volta, provai la lucida consapevolezza di essere anch’io vulnerabile e che nessuno potesse davvero proteggermi.
Dopo i giochi all’aria aperta, si ritornava dentro e ci si sedeva tutti insieme per il pranzo, su quelle sedioline che, a vederle oggi, ne avrei tenerezza. In quella lunga, chiassosa tavolata, c’era sempre almeno un bimbo che non voleva mangiare e faceva disperare le insegnanti. Il piccolino veniva prima esortato con estrema dolcezza, poi con media gentilezza, ed infine con la furia estrema dell’esasperazione. Era una scena penosa da guardare.
In quel breve periodo della mia vita, provavo spesso tra quelle mura una sensazione di disagio che mi faceva bruciare lo stomaco, non mi sentivo di starci e sarei voluto essere libero di scegliere dove e con chi trascorrere le mie mattine. Quel bruciore, ora me ne rendo conto, era la prima reazione alle imposizioni che bisogna seguire nella nostra esistenza, senza farsi troppe domande. Non ho poi un ricordo forte dei miei compagni di gioco, li vedo come tanti fantasmi del passato, mi riesce difficile attribuir loro un volto o alcuna affezione particolare. Credo che le mie simpatie e le amicizie vere siano cominciate solo alle elementari.


Chissà dove sono finiti tutti, mi chiedo adesso dopo quasi trent’anni. Mia nonna è molto vecchia e si ricorda solo a tratti di essere stata una maestra d’asilo, mentre molte delle altre insegnanti non ci sono più da tempo. I bambini sono tutti cresciuti, loro malgrado, diventando quelle famiglie che si vedono passeggiare la sera per le strade di Milazzo. Quella bimba speciale, che cercavo con gli occhi segretamente, sarà ormai una donna che adesso neanche riconoscerei. E la vecchina con le sue ciambelle, in quella casetta grande come una noce, è soltanto un ricordo nel cuore di pochi.
Io invece sono qui, in un paese grande, diverso e lontano più dell’immaginazione, ma alla mia infanzia in quell’angolino in Via del Sole, come a tutte le cose passate che non tornano più, ancora mi ci aggrappo per trovarne calore.

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